Come stelo mi piego e ti raggiungo, angelo nel tuo inferno, demone di un perverso paradiso.

Ultima

Segni: Sussurri dello spirito

Ogni tipo di segno, che sia dato da da parole o cinghie poco importa, è una crescita personale. Si possono portare con orgoglio o sentirsene mortificati , personalmente vivo ogni cicatrice con trasporto e consapevolezza e di questo ne sono grata. 

I segni sono “armi” potenti: ma niente s’incide, nel corpo e nella mente, con forza maggiore che il sentire profondo che li accompagna.

  

La fantasia è un posto dove ci piove dentro.

L’odore che impregna le mie narici è inconfondibile. Ha la fragranza dell’attesa incalzante. E’ l’umido che sta per arrivare. La pioggia imminente che invade i sensi. Avvolge l’aria e mi si attacca alla pelle ancor prima che faccia un passo oltre al posto coperto in cui ci troviamo.

Seguendo le  sue direttive mi sento vibrare. Non vedo, il buio della benda che si stringe attorno al mio viso crea in me un formicolare di percezioni, cerco di cogliere tutti i segnali che mi circondano, ma il leggero fruscio della pioggia che ha cominciato a scendere confonde tutto in un tamburellio.

Umido fragrante profumo di pioggia sulla terra.

La prima goccia che cade sulla mia pelle sembra placare lo scorrere del tempo, la seconda è un deflagare di stelle nel mio ventre.

Sono i pensieri liberi e sinceri di chi si affida e non ha paura.

E’ aria leggera e fresca come può essere solo quella estiva sotto la pioggia.

La mia pelle s’increspa violentemente, e non so se è per il vento leggero, le goccie che mi colpiscono o la mano che si posa al fondo della mia schiena.

Un passo oltre nell’oscurità, guidata da quella mano.

Quel contatto riesce a farmi desiderare che possa durare in eterno, mi ci aggrappo con il pensiero, sperando che non finisca mai, mi sento così vulnerabile.

Respiro a bocca aperta senza accorgermente, respiro di chi sembra a corto d’ossigeno, dispnea emotiva.

Sotto i piedi nudi sento la pietra bagnata, vi cammino con leggeri tentennamenti, come se camminassi su un pavimento di vetro. Solo per alcuni attimi vorrei vedere dove mi trovo, godermi quello che mi è stato descritto come un posto magico.

Fermi ad ascoltare la pioggia, godendosi il battito del cuore e del sangue che circola impetuoso nelle vene.

Potrei acconsentire ad ogni sua richiesta.

Le Sue mani,morbidamente si spostano sulle mie spalle e con gesti delicati e sensuali mi spogliano, allarga l’abbottonatura del vestito fino a denudare le spalle e la schiena, bramava la mia pelle, la mia eccitazione potrebbe raggiungere il culmine anche solo per come mi tocca. Alza la gonna fino a scoprire le mie terga avvolte nel cotone leggero degli slip bianchi. Una carezza morbida fino a riempirsi i palmi con i miei glutei prima di infilare le dita nell’elastino e farle scendere fino a sopra le ginocchia.

“In posizione, signorina”

Un ordine appena sussurrato alle mie orecchie, con voce appena arrochita del trasporto delle sensazioni.

Mi desto dai pensieri che a prescindere da ogni mio possibile controllo mi avevano trasportata in un limbo fatto solo di lui.

Il senso di abbandono è meraviglioso quando avviene verso chi potrebbe avere il tuo cuore pulsante in mano senza ricevere alcuna remora.

Le mani alla nuca, le dita intrecciate fra di loro come a creare un nodo impossibile da sciogliersi. Piedi appena distanziati.

Ecco come mi vuole, ecco come mi ha.

Vulnerabile, esposta, in sua totale balia.

Senza avere il tempo di respirare mi tocca con il mio carnefice, sfiora la pelle senza nessun avviso. Non ho problemi ad identificare il lungo bastone flessibile. Un ramo pulito dalla sua corteccia, leggero e senza nodi.

Me lo aveva preannunciato.

“Voglio frustarti sotto la pioggia” mi aveva detto qualche tempo prima “voglio farlo all’aria aperta, dove possiamo essere solo noi e la natura che ci circonda, dove puoi urlare senza che nessuno possa accorrere. Noi soli con il tuo dolore.”

O Forse l’ho chiesto io? Non ha alcuna importanza ora. L’adrenalina mi sta facendo impazzire, non so se e quando partirà il primo colpo, ma arriverà e io sentirò dolore, molto dolore.

Per Lui e per me.

Ansimo leggera sotto le sue carezze che si confondono con le gocce che colpiscono la mia pelle facendomi appena sussultare. Tocco reso ancora più ruvido dalla pelle bagnata. Tocco reso più eccitante sapendo che è solo il prologo.

La mia schiena si erge dritta e ferma, quasi insolente ai suoi occhi, brama nel farmela flettere sotto i suoi colpi

E poi arriva.

Il primo, duro e secco.

Il suo colpo.

Serro tanto i denti che credo andranno in mille pezzi. Traballo ma non emetto suono. Mi godo quel sordo bruciore che mi fa fischiare appena le orecchie. Come se, dopo quel colpo, volessi dimostrargli tutta la mia forza e devozione.

Ogni colpo successivo smembra la mia sicurezza e mi scioglie la lingua e la voce.

Mi fa gridare. Mi accarezza  e mi consola. Torna ad infierire fino a farmi piangere, fino a confondere le mie lacrime con la pioggia che bagna il mio corpo.

La mia eccitazione ha varcato la soglia dell’indecenza. La mia linfa scorre da ogni poro della mia pelle.  Le strisce rosse fuoco disegnano una trama fitta da sotto le spalle a sopra le ginocchia.

Ogni colpo mi ha lacerato l’anima. Ogni colpo mi ha fatto desiderare di appartenergli ancora di più.

Dolore e delizia.

Dolore e piacere.

Sua, almeno in questa mia strana fantasia, durante questo temporale.

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E piove su le tue ciglia,
Ermione.
Piove su le tue ciglia nere
sì che par tu pianga
ma di piacere.
(Gabriele D’annunzio)

L’arma più potente a scacchi è quella di avere la prossima mossa.

*click* 
Il rumore metallico del lucchetto che si chiude è una stilettata. 

Non dovrei avere quest’ansia, ma l’adrenalina è una scarica elettrica che non conosce indulgenza. 

Estrofletto la lingua. Dopo sua esplicita richiesta. 

Forse un modo per farmi stare zitta l’ha trovato. 

Fisso gli occhi scuri che non si distraggono dalla mia bocca.  Posso toccare quasi realmente i suoi pensieri che mi avvolgono.  

È così concentrato che mi lascia con il fiato sospeso, quasi a non volerlo disturbare nemmeno con esso.

La chiave del lucchetto penzola ritmicamente a toccare la punta della mia lingua.

Respiro rumorosamente  e, metabolizzando l’emozione, vivo nella carne un gioco di nervi e tacita esplorazione. 

Pura osservazione. 

Il mio sguardo saltella fra chiave e il suo viso. Incessantemente.

Ho la netta sensazione di vivere una partita a scacchi. 

Un re, una regina e lo scintillio di quella chiave alla luce del lampione. Una spada brandita per infliggere all’orgoglio una ferita dolce e ambita.

Si può vincere davvero questa competizione? O la vittoria e la sconfitta perfettamente collimabili?

La chiave si appoggia sulla lingua. 

” se la ingoi ti toccherà cercarti una tenaglia. ” 

Lapidario, estremo e feroce. 

In un battito di ciglia mi immagino, una volta tornata a casa, a rovistare fra gli attrezzi in garage in cerca di qualcosa che violasse l’acciaio di quella catena stretta al mio collo. 

Solo la respirazione dalle narici permette di non iperventilare e nel mentre la saliva riempie la bocca. 

Carica d’orgoglio non cedo passo all’incessante trascorrere del tempo. Secondi? Minuti? 

L’unico tradimento alla mia fermezza e il gocciolio incessante del mio intimo. Cosa che lui può solo intuire. Se potesse ascoltare le voglie che urlano dentro di me saprebbe che farei di un sol boccone quella chiave e mi abbandonerei completamente alla vita in catene. 

Un sorriso s’increspa attorno a quel pensiero  improvviso. Se n’è accorto. Forte della sua posizione non attende oltre e le sue mani mi accarezzano i capelli in maniera rude e scendono senza remore sulla nuca e sul collo. 

Tintinna il metallo facendomi espirare forte.

È uno scacco, quello che subisco.  Dita forti che mi fanno chiudere la bocca racchiudendo in me la piccola chiave. 

Conservo l’unica via verso la libertà e non sono più certa di volerla sputare. 

I Suoi fianchi a tenermi le cosce larghe mi fanno capire che non sono l’unica ad amare quel gioco di strategia. 

Forse ho recuperato posizioni mangiando la sua torre.

Le sue dita si insinuano nella bocca chiusa e cercano la loro proprietà esattamente come si farebbe in una tasca. La sua tasca.  

Le succhio di mia iniziativa una volta afferrato l’oggetto del loro desiderio. 

Incontrollata, incessabile  e incandescente.

So che per qualche attimo l’uomo prima del dominante si è sentito vacillare.

Singulto di femmina accalorata che richiama il suo complementare.

È il mio strenuo tentativo di riaffermare le posizioni sulla scacchiera.
Si allontana e rimette la chiave in tasca. 

“Se giochi bene le tue mosse, forse ti libero”

Vorrei giocare ancora. E ancora ed ancora.

Anche ora.

  

Un’idea che non sia pericolosa non merita affatto di essere chiamata idea.

Ci sono rischi che valgono la pena di essere vissuti, assunzioni di responsabilità e consapevolezza. 

Ci sono occasioni che, una volta perdute, continuerai a ritrovarti fra i pensieri per il resto dei tuoi giorni accompagnate da un sapore amaro infondo all’animo. 

Ci sono occhi che riescono a parlare in maniera così eloquente che non hai bisogno di nessuna traduzione. 
Ci sono labbra che passi a fissare per ore senza riuscire a celare il turbamento che esse ti provocano. 
Soprattutto se condite di sarcasmo. 

Io quel rischio, quelle occasioni, quegli occhi e quelle labbra le conosco bene. 

Fanno parte di me. 

Sono io.

Sono acceso desiderio, che si trova immutato agli eventi. Sguardo ardente su vestito nero. 

Mi ritrovo ad essere predatrice e preda. 

Un morbido scontro tra animi aguzzi. Momenti di intesa, perversa ma dolce. 

E ci si ritrova sospinti dove esita la carne; forgiando e imbrigliando i sospiri. 

È vita vera quella che ingurgito insaziabile. 

Catena di ferro stretta nel collo. Posseggo l’intero universo in un battito di ciglia. L’ho percepito nettamente nell’impeto del battito del mio cuore.

Adrenalina concentrata che si scioglie nel flusso del mio sangue. 

Sadicamente Masochista. Una terra inesplorata. 

Sentirmi femmina stuzzicante. Non esiste ubbidienza, netiquette, o definizioni appropriate. 

Instillatrice di voglie e desideri. 

Potenti.  Pericolosi. 

Proprio come me.

  

Chi comincia ad amare, deve essere pronto a soffrire.

Non vi è l’Amore nel mio modo di sottomettermi, ma ogni volta che accade è un atto d’amore.

“Amor – come parola essenziale
dia inizio alla canzone e la sostanzi.
Amor guidi il mio verso e, nel guidarlo,
unisca anima e sesso, membro e vulva.

Chi osa dir di lui che é solo anima?
Chi non sente nel corpo l’anima espandersi
fino a sbocciare in un vivido grido
d’orgasmo, in un istante d’infinito?

Il corpo avvinghiato a un altro corpo,
fuso, dissolto, torna all’origine
degli esseri, che Platone vide completi:
é uno, in due perfetto: due in uno.

……

Allora si instaura la pace. Pace di dei,
adagiati sul letto, come statue
vestite di sudore, grate per quanto
ad un dio aggiunge l’amor terreno.”

Versi tratti da “AMOR – COME PAROLA ESSENZIALE di Carlos Dummond de Andrade”

Vorrei fare una premessa, tutti ne staranno già parlando, tutti ne parleranno per mesi. Puristi,vanilla, neofiti, curiosi, viziosi, gente alla ricerca di qualcuno che soddisfi “facilmente” le loro fantasie: insomma sono certa che non ci sarà qualcuno al mondo che non avrà o abbia già la propria opinione a riguardo.

Non è un caso che il marketing abbia portato a far uscire un film kinky  proprio nei giorni di San Valentino, per quanto possa piacere o meno, il sesso vende, se poi è  un romanzetto rosa  condito di spunti pruriginosi, sono convinta che riempirà le sale cinematografiche fino a pasqua. Sarà sdoganamento di ciò che vivo in maniera più o meno consapevoleda quasi 15 anni. Libri, film,e negozi si arricchiranno di spunti fetish e giocattoli per adulti.Tutti coloro che potranno ne faranno business, qualcuno ne approfitterà per cercarsi una scopata. Già l’altro giorno in libreria mi è capitata in mano per mera curiosità un libro che all’interno conteneva un vibratore.

Non mi piace far polemica gratuita e non è neanche mia intenzione farne, sono sempre stata convinta che alla fine le persone all’interno della loro  intimità debbano aver la liberà di viverla come meglio credono almeno finchè tutti i partecipanti sono maggiorenni e consensuali. Se poi è bdsm o meno chissenefrega!

Se parlarne e sdoganando sarà il modo per aiutare a qualcuno a capire chi meglio è ben venga, l’unica cosa che in cuor mio posso fare  è avvertire. Oggi come da quando ho aperto questo blog ho sostenuto che queste pratiche e tutto il bdsm hanno dei rischi, prima di fare bisogna studiare, capire, informarsi. I mezzi esistono, l’ignoranza non può e non deve essere una scusa.

Fatta questa  premessa vorrei tornare a ciò che frulla fra le dita e mi porta a scrivere oggi

Amo profondamente e con tutta me stessa ciò che sono e questo amore lo riverso completamente donandomi a chi mi domina. Nel giorno di San Valentino, quando tutti staranno approfittando per ricordare quanto Amore hanno nella loro vita, io voglio guardare alla mia essenza con lo stesso sguardo. Uno sguardo d’amore.

Dopo il mio anno sabbatico mi rendo conto che le mie fantasie, i miei bisogni, le mie pulsioni urlano tutto il loro vigore.

Sono piena di languidi pensieri, e inconfessabili voglie. Il desiderio di offrire la mia essenza e vederla arricchita mi alza tutte le mattine e mi accompagna scivolando nel sonno la sera.

Sono  arrivata a pensare che una strada di sottomissione che contenga dolore  non mi dispiacerebbe affatto. Sì, è tutto da esplorare il mio masochismo, nella mia vita da sottomessa è stato solo assaggiato questo aspetto, e, ad oggi, credo di aver raggiunto un punto del mio percorso dove vorrei capire di più di me e di cosa mi scatena la sofferenza.

Ora probabilmente qualcuno avrà spalancato gli occhi quasi inorridito pensando a come si possa vivere tutto questo tempo nel bdsm senza aver mai capito fino a che punto si è Sadici o Masochisti. Ho semplicemente vissuto altro, chi mi ha accompagnato in questo percorso non ha mai voluto portarmi pienamente su quel terreno, e io non ho mai condiviso il desiderio di esplorarlo.

Ho sempre considerato la possibilità di ricevere dolore unicamente come margine di potere che concedevo a chi mi possedeva. Il dolore che ho subito mi dava piacere in quanto mi dava il metro della mia devozione. Ma voglio scoprire cosa c’è oltre.

Vorrei arrivare a comprendere esattamente quanto mi piaccia sentire il mio corpo esausto per gli usi che si è voluto farne, essere costretta e immobilizzata nell’attesa di venir colpita.

La pelle profanata in una trama di disciplina e punizioni, divenir gioco perverso per  assecondare le manie viziose.

Sentire la mia voce arrochita fino a giungere allo stremo delle forze.

Trovarmi in faccia ai miei limiti e prenderne completa visione.

Vorrei guardare nel profondo due occhi,, ardenti come braci con i miei riempiti di lacrime salate, ma mai con retrogusto tanto dolce.

Io sono pronta a soffrire, io sono pronta ad amare.

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Buon San Valentino a tutti.

Ogni limite ha una pazienza.

“Fermarsi
al filo dell’abisso
e comprendere
che lo spirito
attende nel limite.
Solitudine vedetta.”

Pablo Gozalves

Se c’è una cosa innegabile del mio essere sottomessa è che sono brava ad attendere.

Credo di aver passato più tempo ad attendere che poi a godermi il frutto della mia pazienza.

E dicendolo non c’è rimorso o recriminazione, ma una presa di coscienza.

Dicono che questa capacità sia una virtù dei forti, ed io che di vizi e virtù ho scritto fiumi di parole mi ritrovo a chiedermi quanto questa mia capacità d’attesa sia realmente una virtù o  invece divenga vizio che non so come scollarmi.

Sì perchè vuoi mica che una sottomessa sia impaziente, che non sappia qual’è il suo posto  e forzi decisioni o situazioni.

Chi vuole una sottomessa tarantolata che non è capace a rimanere lì immobile con sguardo speranzoso, disciplinata e in religiosa contemplazione della chiamata del proprio Dominante?

Qual’è il limite della pazienza? io questo limite ce l’ho?

Qual’è quella sottile linea di confine oltrepassata la quale si diventa “fessi”?

Si forse troppe domande tutte assieme non aiutano, ed io in questi giorni me ne sto facendo parecchie. Sono riflessiva, contemplativa, ponderante, paziente e comprensiva. Si va bene ma ho un limite in questo? La mia razionalità  si romperà prima o poi facendomi perdere le staffe e sbarellare un po’ a ruota libera?

Ecco ancora domande.

Deve essere catartico ad un certo punto alzarsi dalla posizione disciplinata in cui sono ancora adesso nonostante il mio collo più che libero e urlare al mondo  ” BASTA! MI SONO ROTTA! “.

Ed invece, evidentemente, non ne sono capace oppure non ho trovato ancora quel limite e quindi mi ritrovo a comprendere le ragioni di tutti e tutte le situazioni.

Sono una silente vedetta che saluta con un cenno del capo chi lancia una pietra nel mio abisso per testare se e quanto profonda sia la mia pazienza. Io non sono ancora riuscita a sentire un suono da quelle pietre.

Ogni volta però qualcosa nella mia pancia, di emotivamente forte,  si contorce  e regala attimi di fitte dolorose. Accade quasi sempre quando entro nel dormiveglia e i pensieri turbinano attorno alla mia testa  confondendomi e assuefacendomi a quell’attesa.

Non sono sicura che la mia sia follia o illusione, autoaddomesticamento o eccesso di raziocinio. Ogni tanto vorrei saperlo sputare il rospo piuttosto che ingoiarlo sempre tutto. Vorrei che la mia bocca sapesse perdere il pudore e dire ciò che freme sotto pelle, che affama il mio essere schiava.

“Non voglio essere sacra e inviolabile, non sono Beatrice.

Non voglio neppure fare e disfare la tela in attesa di un ipotetico Ulisse, non sono Penelope.”

E detto questo vorrei subito chiarire che non è una dichiarazione d’intenti, io non comincerò a saltellare da una situazione all’altra senza soluzioni di continuità, non cerco bdsm fatto in maniera occasionale e non cerco neppure una lista di pretentendi ma semplicemente vorrei sentire nuovamente viva e appagata il mia anima schiava, che sarà pur avvezza all’attesa ma non è morta.

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– Ma se tu mi addomestichi, la mia vita sarà illuminata. Conoscerò un rumore di passi che sarà diverso da tutti gli altri. Gli altri passi mi fanno nascondere sotto terra. Il tuo, mi farà uscire dalla tana, come una musica. E poi, guarda! Vedi, laggiù in fondo, dei campi di grano? Io non mangio il pane e il grano, per me è inutile. I campi di grano non mi ricordano nulla. E questo è triste! Ma tu hai dei capelli color dell’oro. Allora sarà meraviglioso quando mi avrai addomesticato. Il grano, che è dorato, mi farà pensare a te. E amerò il rumore del vento nel grano… ”
La volpe tacque e guardò a lungo il piccolo principe:
“Per favore… addomesticami”, disse.
“Volentieri”, disse il piccolo principe, “ma non ho molto tempo, però. Ho da scoprire degli amici, e da conoscere molte cose”.
“Non ci conoscono che le cose che si addomesticano”, disse la volpe. “Gli uomini non hanno più tempo per conoscere nulla. Comprano dai mercanti le cose già fatte. Ma siccome non esistono mercanti di amici, gli uomini non hanno più amici. Se tu vuoi un amico addomesticami!”
“Che cosa bisogna fare?” domandò il piccolo principe.
“Bisogna essere molto pazienti”, rispose la volpe. “In principio tu ti siederai un po’ lontano da me, così, nell’erba. Io ti guarderò con la coda dell’occhio e tu non dirai nulla. Le parole sono una fonte di malintesi. Ma ogni giorno tu potrai sederti un po’ più vicino… ”
Il piccolo principe ritornò l’indomani.
“Sarebbe stato meglio ritornare alla stessa ora”, disse la volpe.
“Se tu vieni, per esempio, tutti i pomeriggi alle quattro,dalle tre io comincerò ad essere felice. Col passare dell’ora aumenterà la mia felicità. Quando saranno le quattro, incomincerò ad agitarmi e ad inquietarmi; scoprirò il prezzo della felicità! Ma se tu vieni non si sa quando, io non saprò mai a che ora prepararmi il cuore. Ci vogliono i riti”. –

“ O taci, o di’ cose migliori del silenzio. „

È stato un anno particolarmente silenzioso da parte mia.

Un silenzio che sottolinea l’astinenza da me stessa.

Vorrei poter fare un bilancio positivo ma, guardandomi nelle tasche, non riesco a trovare nulla se non attesa di tempi migliori. Mi sento svuotata.

Momenti che latitano, naufragi della speranza di vivere nuovi stimoli e passi anche minimi nel mio percorso da sottomessa.

Ci ho creduto fortemente, con tutta la buona volontà che potessi avere, ed invece mi ritrovo oggi, a due giorni dalla fine di questo anno, senza molte certezze, se non quelle di una reale stanchezza fisica e mentale, e una quantità abominevole di domande.

Qualcuno in questi giorni mi ha detto che ho già le risposte che mi servono, che, nonostante i dubbi, ho la fortuna di essere conscia di chi e cosa sono.

Ho voglia di tornare a desiderare, sognare e rincorrere i miei istinti, ma non so trovare la voce per rompere questo silenzio.

Io sottomessa, schiava e femmina di proprietà sono una persona migliore.

Oggi sono più povera.

Temo che il mio esilio, più o meno volontario, sia un imbuto le cui pareti sono troppo lisce per essere risalite.

Il mio proposito rimane uno ed uno soltanto:

Concedermi la possibilità di ritrovarmi e continuare (ritornare) a credere in me.

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Dirac

“(∂ + m) ψ = 0” .

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Tutte le situazioni finiscono, prima o poi, è lo schifo imperfetto della vita.

Niente ferisce, avvelena, ammala, quanto la delusione. Perché la delusione è un dolore che deriva sempre da una speranza svanita, una sconfitta che nasce sempre da una fiducia tradita cioè dal voltafaccia di qualcuno o qualcosa in cui credevamo. E a subirla ti senti ingannato, beffato, umiliato. La vittima d’una ingiustizia che non t’aspettavi, d’un fallimento che non meritavi. Ti senti anche offeso, ridicolo, sicché a volte cerchi la vendetta. Scelta che può dare un po’ di sollievo, ammettiamolo, ma che di rado s’accompagna alla gioia e che spesso costa più del perdono. (Oriana Fallaci)

Il fallimento di un Rapporto D/s segna profondamente lo spirito di chi lo vive sulla sua pelle. Mi è capitato in passato, e non stento a credere che ricapiterà in futuro.

L’unica via ora percorribile è quella del metabolizzare, i tranelli (emotivi e non) in cui ci si imbatte nel farlo sono molti. Conto di lavorare su me stessa per schivarne la maggiorparte.

Ma sono grata per ciò che ho vissuto, e continuerò ad esserlo.
Non ci sono colpe e colpevoli, buoni e cattivi.

La delusione che provo al momento è solo frutto delle speranze riposte in un cammino intrapreso ed ora accantonate.

C’è solo Consapevolezza e accettazione di uno status quo che per qualche tempo si è taciuto anche a noi stessi.

Ringrazio chi ha vissuto con me questo rapporto, e per i passi che mi ha fatto percorrere nel mio percorso.

Il tempo di cui disponiamo ogni giorno è elastico: le passioni che proviamo lo dilatano, quelle che ispiriamo lo restringono, e l’abitudine lo riempie.

Mi manca il tempo e simultaneamente ne ho in abbondanza. Antitesi di vita.

Con la calma della ragione mi rendo conto che più di ciò che è stato fatto non poteva essere svolto.

Ma ho fame di occasioni, anche di quelle passate per un soffio e inevitabilmente archiviate.

Questo tempo è passato, un anno volato in fretta qui nel blog e nel mio D/s , mi sono distratta per qualche attimo ed eccomi qui a chiedermi come ha fatto a scappare via.

Si sente  dire spesso ” se tornassi indietro…”  ma non è questo il  caso, tutto ciò che ho vissuto è stato con il dono totale di me stessa; senza rimpianti mi lascio alle spalle un periodo molto difficile ma denso di emozioni fra le più contrapposte, e mi rendo conto di dover confessare che, in quegli attimi, l’essere schiava e l’appartenenza, hanno fatto perno nel turbinio quotidiano evitando che  mi disperdessi.

Conosco  tutte le mie fragilità a menadito ma ciò che quest’anno mi ha insegnato, più di ogni altra cosa, è quanto in realtà io sia forte: nonostante il vento contrario, io non abbia smesso di camminare ferma sulle mie gambe, orgogliosa e fiera di chi sono, consapevole che abbandonarmi nelle mani di chi mi possiede mi regala il vigore necessario per affrontare ogni situazione.

E’ una sensazione meravigliosa.

Pensando a chi ero un anno fa mi rivedo disillusa e amareggiata, con la piena consapevolezza che avevo mancato un’occasione, non per mia volontà, senza dubbio speciale. Ero guardinga e assolutamente dubbiosa di voler e poter vivere ancora il dono della mia sottomissione. Ero nel pieno dell’ inverno e aspettavo che tornasse la primavera.

L’incontro con colui che è il mio Padrone è stata una scommessa, soprattutto da parte mia, raccolta e coltivata. Con il senno di poi la scelta è stata quella giusta.

Oggi, dodici mesi dopo, continuo a scegliere la stessa via con la voglia di perdermici dentro, è la Sua primavera, la nostra, che quotidianamente m’invade, mi travolge e m’avvolge. Sono piena di desideri che si intrecciano e di voglie che bramano di essere saziate.

Ho bisogno di vivere questo tempo mescolando la perversione che ci accompagna ed i miei occhi sono ben aperti  e consapevoli che questo tempo necessita di ritmo, quello dei nostri desideri.

Stanno fiorendo le pratoline sotto il noce ancora spoglio e, con esse, sono germogliati nuovamente i sensi in una miriade di fremiti indistinti. Vorrei poter festeggiare questo anno e inaugurare pienamente il prossimo. Suggellare in piena sintonia fra corpo e mente il patto che mi lega a Lui,  consapevolmente irrazionale.

Quindi non mi resta che ringraziare chi si è preso cura di me, concedendomi  stare al suo fianco.

La mia è una promessa: Terrò stretto a me ciò che è buono, anche se sarà solamente un pugno di terra; terrò sempre con me ciò in cui credo, anche se sarà solo un pensiero fugace; non mancherò di compiere ciò che devo  anche se la distanza sarà maggiore di quella che avrei voluto e non abbandonerò  mai  la via che mi è stata indicata anche se a volte è più facile lasciarsi andare. Ed infine, ma non meno importante, terrò stretta la Tua mano anche quando sarai più lontano da me, fintanto che non mi ordinerai di lasciarla.

E’ un onore nonchè un piacere viaggiare con te, Padrone.

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“E un astronomo disse: Maestro Parlaci del Tempo.
E lui rispose:
Vorreste misurare il tempo, l’incommensurabile e l’immenso.
Vorreste regolare il vostro comportamento e dirigere il corso del vostro spirito secondo le ore e le stagioni.
Del tempo vorreste fare un fiume per sostate presso la sua riva e
vederlo fluire.

Ma l’eterno che è in voi sa che la vita è senza tempo
E sa che l’oggi non è che il ricordo di ieri, e il domani il sogno di oggi.
E ciò che in voi è canto e contemplazione dimora quieto entro i confini di quel primo attimo in cui le stelle furono disseminate nello spazio.
Chi di voi non sente che la sua forza d’amore è sconfinata?
E chi non sente che questo autentico amore, benché sconfinato, è racchiuso nel centro del proprio essere, e non passa da pensiero d’amore a pensiero d’amore, né da atto d’amore ad atto d’amore?
E non è forse il tempo, così come l’amore, indiviso e immoto?

Ma se col pensiero volete misurare il tempo in stagioni, fate che ogni stagione racchiuda tutte le altre,
E che il presente abbracci il passato con il ricordo, e il futuro con l’attesa.”

Kahlil Gibran