Come stelo mi piego e ti raggiungo, angelo nel tuo inferno, demone di un perverso paradiso.

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Della sensibilità e di tutto ciò che ne consegue. 

“Sono così, sai, le persone sensibili.Sentono il doppio, sentono prima.Perché, esattamente un passo avanti al loro corpo, cammina la loro anima.” Serena Santorelli

È un viaggio meraviglioso quello alla scoperta della sensibilità, si nutre di piccoli gesti, sguardi e sospiri.
Si può iniziare solamente dalla superficie e, per addentrarsi nelle pieghe dello spirito, ci vuole cautela ma anche una grande dose di intraprendenza. 
Questa non sembra mancare mai.
Una volta che si sono scoperte le sensibilità più intime solo allora si può avere la completa padronanza della situazione. 
In un momento anche il dolore che si tende ad allontanare istintivamente diviene delizia. 
Un sapore così dolce da creare dipendenza. 

  
Chissà poi chi mai avrà insegnato a leccar così bene anche le dita?

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Segni: Sussurri dello spirito

Ogni tipo di segno, che sia dato da da parole o cinghie poco importa, è una crescita personale. Si possono portare con orgoglio o sentirsene mortificati , personalmente vivo ogni cicatrice con trasporto e consapevolezza e di questo ne sono grata. 

I segni sono “armi” potenti: ma niente s’incide, nel corpo e nella mente, con forza maggiore che il sentire profondo che li accompagna.

  


La fantasia è un posto dove ci piove dentro.

L’odore che impregna le mie narici è inconfondibile. Ha la fragranza dell’attesa incalzante. E’ l’umido che sta per arrivare. La pioggia imminente che invade i sensi. Avvolge l’aria e mi si attacca alla pelle ancor prima che faccia un passo oltre al posto coperto in cui ci troviamo.

Seguendo le  sue direttive mi sento vibrare. Non vedo, il buio della benda che si stringe attorno al mio viso crea in me un formicolare di percezioni, cerco di cogliere tutti i segnali che mi circondano, ma il leggero fruscio della pioggia che ha cominciato a scendere confonde tutto in un tamburellio.

Umido fragrante profumo di pioggia sulla terra.

La prima goccia che cade sulla mia pelle sembra placare lo scorrere del tempo, la seconda è un deflagare di stelle nel mio ventre.

Sono i pensieri liberi e sinceri di chi si affida e non ha paura.

E’ aria leggera e fresca come può essere solo quella estiva sotto la pioggia.

La mia pelle s’increspa violentemente, e non so se è per il vento leggero, le goccie che mi colpiscono o la mano che si posa al fondo della mia schiena.

Un passo oltre nell’oscurità, guidata da quella mano.

Quel contatto riesce a farmi desiderare che possa durare in eterno, mi ci aggrappo con il pensiero, sperando che non finisca mai, mi sento così vulnerabile.

Respiro a bocca aperta senza accorgermente, respiro di chi sembra a corto d’ossigeno, dispnea emotiva.

Sotto i piedi nudi sento la pietra bagnata, vi cammino con leggeri tentennamenti, come se camminassi su un pavimento di vetro. Solo per alcuni attimi vorrei vedere dove mi trovo, godermi quello che mi è stato descritto come un posto magico.

Fermi ad ascoltare la pioggia, godendosi il battito del cuore e del sangue che circola impetuoso nelle vene.

Potrei acconsentire ad ogni sua richiesta.

Le Sue mani,morbidamente si spostano sulle mie spalle e con gesti delicati e sensuali mi spogliano, allarga l’abbottonatura del vestito fino a denudare le spalle e la schiena, bramava la mia pelle, la mia eccitazione potrebbe raggiungere il culmine anche solo per come mi tocca. Alza la gonna fino a scoprire le mie terga avvolte nel cotone leggero degli slip bianchi. Una carezza morbida fino a riempirsi i palmi con i miei glutei prima di infilare le dita nell’elastino e farle scendere fino a sopra le ginocchia.

“In posizione, signorina”

Un ordine appena sussurrato alle mie orecchie, con voce appena arrochita del trasporto delle sensazioni.

Mi desto dai pensieri che a prescindere da ogni mio possibile controllo mi avevano trasportata in un limbo fatto solo di lui.

Il senso di abbandono è meraviglioso quando avviene verso chi potrebbe avere il tuo cuore pulsante in mano senza ricevere alcuna remora.

Le mani alla nuca, le dita intrecciate fra di loro come a creare un nodo impossibile da sciogliersi. Piedi appena distanziati.

Ecco come mi vuole, ecco come mi ha.

Vulnerabile, esposta, in sua totale balia.

Senza avere il tempo di respirare mi tocca con il mio carnefice, sfiora la pelle senza nessun avviso. Non ho problemi ad identificare il lungo bastone flessibile. Un ramo pulito dalla sua corteccia, leggero e senza nodi.

Me lo aveva preannunciato.

“Voglio frustarti sotto la pioggia” mi aveva detto qualche tempo prima “voglio farlo all’aria aperta, dove possiamo essere solo noi e la natura che ci circonda, dove puoi urlare senza che nessuno possa accorrere. Noi soli con il tuo dolore.”

O Forse l’ho chiesto io? Non ha alcuna importanza ora. L’adrenalina mi sta facendo impazzire, non so se e quando partirà il primo colpo, ma arriverà e io sentirò dolore, molto dolore.

Per Lui e per me.

Ansimo leggera sotto le sue carezze che si confondono con le gocce che colpiscono la mia pelle facendomi appena sussultare. Tocco reso ancora più ruvido dalla pelle bagnata. Tocco reso più eccitante sapendo che è solo il prologo.

La mia schiena si erge dritta e ferma, quasi insolente ai suoi occhi, brama nel farmela flettere sotto i suoi colpi

E poi arriva.

Il primo, duro e secco.

Il suo colpo.

Serro tanto i denti che credo andranno in mille pezzi. Traballo ma non emetto suono. Mi godo quel sordo bruciore che mi fa fischiare appena le orecchie. Come se, dopo quel colpo, volessi dimostrargli tutta la mia forza e devozione.

Ogni colpo successivo smembra la mia sicurezza e mi scioglie la lingua e la voce.

Mi fa gridare. Mi accarezza  e mi consola. Torna ad infierire fino a farmi piangere, fino a confondere le mie lacrime con la pioggia che bagna il mio corpo.

La mia eccitazione ha varcato la soglia dell’indecenza. La mia linfa scorre da ogni poro della mia pelle.  Le strisce rosse fuoco disegnano una trama fitta da sotto le spalle a sopra le ginocchia.

Ogni colpo mi ha lacerato l’anima. Ogni colpo mi ha fatto desiderare di appartenergli ancora di più.

Dolore e delizia.

Dolore e piacere.

Sua, almeno in questa mia strana fantasia, durante questo temporale.

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E piove su le tue ciglia,
Ermione.
Piove su le tue ciglia nere
sì che par tu pianga
ma di piacere.
(Gabriele D’annunzio)


Chi comincia ad amare, deve essere pronto a soffrire.

Non vi è l’Amore nel mio modo di sottomettermi, ma ogni volta che accade è un atto d’amore.

“Amor – come parola essenziale
dia inizio alla canzone e la sostanzi.
Amor guidi il mio verso e, nel guidarlo,
unisca anima e sesso, membro e vulva.

Chi osa dir di lui che é solo anima?
Chi non sente nel corpo l’anima espandersi
fino a sbocciare in un vivido grido
d’orgasmo, in un istante d’infinito?

Il corpo avvinghiato a un altro corpo,
fuso, dissolto, torna all’origine
degli esseri, che Platone vide completi:
é uno, in due perfetto: due in uno.

……

Allora si instaura la pace. Pace di dei,
adagiati sul letto, come statue
vestite di sudore, grate per quanto
ad un dio aggiunge l’amor terreno.”

Versi tratti da “AMOR – COME PAROLA ESSENZIALE di Carlos Dummond de Andrade”

Vorrei fare una premessa, tutti ne staranno già parlando, tutti ne parleranno per mesi. Puristi,vanilla, neofiti, curiosi, viziosi, gente alla ricerca di qualcuno che soddisfi “facilmente” le loro fantasie: insomma sono certa che non ci sarà qualcuno al mondo che non avrà o abbia già la propria opinione a riguardo.

Non è un caso che il marketing abbia portato a far uscire un film kinky  proprio nei giorni di San Valentino, per quanto possa piacere o meno, il sesso vende, se poi è  un romanzetto rosa  condito di spunti pruriginosi, sono convinta che riempirà le sale cinematografiche fino a pasqua. Sarà sdoganamento di ciò che vivo in maniera più o meno consapevoleda quasi 15 anni. Libri, film,e negozi si arricchiranno di spunti fetish e giocattoli per adulti.Tutti coloro che potranno ne faranno business, qualcuno ne approfitterà per cercarsi una scopata. Già l’altro giorno in libreria mi è capitata in mano per mera curiosità un libro che all’interno conteneva un vibratore.

Non mi piace far polemica gratuita e non è neanche mia intenzione farne, sono sempre stata convinta che alla fine le persone all’interno della loro  intimità debbano aver la liberà di viverla come meglio credono almeno finchè tutti i partecipanti sono maggiorenni e consensuali. Se poi è bdsm o meno chissenefrega!

Se parlarne e sdoganando sarà il modo per aiutare a qualcuno a capire chi meglio è ben venga, l’unica cosa che in cuor mio posso fare  è avvertire. Oggi come da quando ho aperto questo blog ho sostenuto che queste pratiche e tutto il bdsm hanno dei rischi, prima di fare bisogna studiare, capire, informarsi. I mezzi esistono, l’ignoranza non può e non deve essere una scusa.

Fatta questa  premessa vorrei tornare a ciò che frulla fra le dita e mi porta a scrivere oggi

Amo profondamente e con tutta me stessa ciò che sono e questo amore lo riverso completamente donandomi a chi mi domina. Nel giorno di San Valentino, quando tutti staranno approfittando per ricordare quanto Amore hanno nella loro vita, io voglio guardare alla mia essenza con lo stesso sguardo. Uno sguardo d’amore.

Dopo il mio anno sabbatico mi rendo conto che le mie fantasie, i miei bisogni, le mie pulsioni urlano tutto il loro vigore.

Sono piena di languidi pensieri, e inconfessabili voglie. Il desiderio di offrire la mia essenza e vederla arricchita mi alza tutte le mattine e mi accompagna scivolando nel sonno la sera.

Sono  arrivata a pensare che una strada di sottomissione che contenga dolore  non mi dispiacerebbe affatto. Sì, è tutto da esplorare il mio masochismo, nella mia vita da sottomessa è stato solo assaggiato questo aspetto, e, ad oggi, credo di aver raggiunto un punto del mio percorso dove vorrei capire di più di me e di cosa mi scatena la sofferenza.

Ora probabilmente qualcuno avrà spalancato gli occhi quasi inorridito pensando a come si possa vivere tutto questo tempo nel bdsm senza aver mai capito fino a che punto si è Sadici o Masochisti. Ho semplicemente vissuto altro, chi mi ha accompagnato in questo percorso non ha mai voluto portarmi pienamente su quel terreno, e io non ho mai condiviso il desiderio di esplorarlo.

Ho sempre considerato la possibilità di ricevere dolore unicamente come margine di potere che concedevo a chi mi possedeva. Il dolore che ho subito mi dava piacere in quanto mi dava il metro della mia devozione. Ma voglio scoprire cosa c’è oltre.

Vorrei arrivare a comprendere esattamente quanto mi piaccia sentire il mio corpo esausto per gli usi che si è voluto farne, essere costretta e immobilizzata nell’attesa di venir colpita.

La pelle profanata in una trama di disciplina e punizioni, divenir gioco perverso per  assecondare le manie viziose.

Sentire la mia voce arrochita fino a giungere allo stremo delle forze.

Trovarmi in faccia ai miei limiti e prenderne completa visione.

Vorrei guardare nel profondo due occhi,, ardenti come braci con i miei riempiti di lacrime salate, ma mai con retrogusto tanto dolce.

Io sono pronta a soffrire, io sono pronta ad amare.

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Buon San Valentino a tutti.


Il tempo di cui disponiamo ogni giorno è elastico: le passioni che proviamo lo dilatano, quelle che ispiriamo lo restringono, e l’abitudine lo riempie.

Mi manca il tempo e simultaneamente ne ho in abbondanza. Antitesi di vita.

Con la calma della ragione mi rendo conto che più di ciò che è stato fatto non poteva essere svolto.

Ma ho fame di occasioni, anche di quelle passate per un soffio e inevitabilmente archiviate.

Questo tempo è passato, un anno volato in fretta qui nel blog e nel mio D/s , mi sono distratta per qualche attimo ed eccomi qui a chiedermi come ha fatto a scappare via.

Si sente  dire spesso ” se tornassi indietro…”  ma non è questo il  caso, tutto ciò che ho vissuto è stato con il dono totale di me stessa; senza rimpianti mi lascio alle spalle un periodo molto difficile ma denso di emozioni fra le più contrapposte, e mi rendo conto di dover confessare che, in quegli attimi, l’essere schiava e l’appartenenza, hanno fatto perno nel turbinio quotidiano evitando che  mi disperdessi.

Conosco  tutte le mie fragilità a menadito ma ciò che quest’anno mi ha insegnato, più di ogni altra cosa, è quanto in realtà io sia forte: nonostante il vento contrario, io non abbia smesso di camminare ferma sulle mie gambe, orgogliosa e fiera di chi sono, consapevole che abbandonarmi nelle mani di chi mi possiede mi regala il vigore necessario per affrontare ogni situazione.

E’ una sensazione meravigliosa.

Pensando a chi ero un anno fa mi rivedo disillusa e amareggiata, con la piena consapevolezza che avevo mancato un’occasione, non per mia volontà, senza dubbio speciale. Ero guardinga e assolutamente dubbiosa di voler e poter vivere ancora il dono della mia sottomissione. Ero nel pieno dell’ inverno e aspettavo che tornasse la primavera.

L’incontro con colui che è il mio Padrone è stata una scommessa, soprattutto da parte mia, raccolta e coltivata. Con il senno di poi la scelta è stata quella giusta.

Oggi, dodici mesi dopo, continuo a scegliere la stessa via con la voglia di perdermici dentro, è la Sua primavera, la nostra, che quotidianamente m’invade, mi travolge e m’avvolge. Sono piena di desideri che si intrecciano e di voglie che bramano di essere saziate.

Ho bisogno di vivere questo tempo mescolando la perversione che ci accompagna ed i miei occhi sono ben aperti  e consapevoli che questo tempo necessita di ritmo, quello dei nostri desideri.

Stanno fiorendo le pratoline sotto il noce ancora spoglio e, con esse, sono germogliati nuovamente i sensi in una miriade di fremiti indistinti. Vorrei poter festeggiare questo anno e inaugurare pienamente il prossimo. Suggellare in piena sintonia fra corpo e mente il patto che mi lega a Lui,  consapevolmente irrazionale.

Quindi non mi resta che ringraziare chi si è preso cura di me, concedendomi  stare al suo fianco.

La mia è una promessa: Terrò stretto a me ciò che è buono, anche se sarà solamente un pugno di terra; terrò sempre con me ciò in cui credo, anche se sarà solo un pensiero fugace; non mancherò di compiere ciò che devo  anche se la distanza sarà maggiore di quella che avrei voluto e non abbandonerò  mai  la via che mi è stata indicata anche se a volte è più facile lasciarsi andare. Ed infine, ma non meno importante, terrò stretta la Tua mano anche quando sarai più lontano da me, fintanto che non mi ordinerai di lasciarla.

E’ un onore nonchè un piacere viaggiare con te, Padrone.

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“E un astronomo disse: Maestro Parlaci del Tempo.
E lui rispose:
Vorreste misurare il tempo, l’incommensurabile e l’immenso.
Vorreste regolare il vostro comportamento e dirigere il corso del vostro spirito secondo le ore e le stagioni.
Del tempo vorreste fare un fiume per sostate presso la sua riva e
vederlo fluire.

Ma l’eterno che è in voi sa che la vita è senza tempo
E sa che l’oggi non è che il ricordo di ieri, e il domani il sogno di oggi.
E ciò che in voi è canto e contemplazione dimora quieto entro i confini di quel primo attimo in cui le stelle furono disseminate nello spazio.
Chi di voi non sente che la sua forza d’amore è sconfinata?
E chi non sente che questo autentico amore, benché sconfinato, è racchiuso nel centro del proprio essere, e non passa da pensiero d’amore a pensiero d’amore, né da atto d’amore ad atto d’amore?
E non è forse il tempo, così come l’amore, indiviso e immoto?

Ma se col pensiero volete misurare il tempo in stagioni, fate che ogni stagione racchiuda tutte le altre,
E che il presente abbracci il passato con il ricordo, e il futuro con l’attesa.”

Kahlil Gibran


Possiamo avere tutti i mezzi di comunicazione del mondo, ma niente, assolutamente niente, sostituisce lo sguardo dell’essere umano.

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Ci sono momenti in cui mi ritrovo silente, in tacita contemplazione, osservante due occhi che rimandano ai miei.

La proverbiale quiete dopo la tempesta.

E’ un viaggio quello che percorro  all’interno di quello sguardo,  esploro con attenzione e cautamente incappando nelle spiegazioni a emozioni che difficilmente riescono ad essere espresse in maniera più rumorosa.

Inoltrandomi in esso ho conosciuto fra le più diverse sensazioni, in quegl’attimi di silenzio ho sempre potuto specchiarmi  e trovarmi consapevole di chi ero, cosa provocavo e dove stavo andando. Sarà forse presuntuoso da parte mia ma sono convinta di avere un dono: so leggere in quegli sguardi, so vedere ( quasi sempre) l’animo delle persone. Quel che ho  visto in questi anni non sempre è stato piacevole, in talune occasioni è stato straziante ma certamente quando incontro due occhi che mi guardano come è accaduto qualche giorno fa, ebbene, io mi sento esplodere una supernova nel cuore.

Ho provato la netta sensazione di risplendere accecante nel buio dell’universo. Un lampo ha percorso la mia cute. Non ho saputo resisere al dischiudere la bocca  e parlare.

“Stai facendo il pieno di me?”

Non v’è seguita nessuna risposta reale.

I Suoi occhi trasmettevano una forza indescrivibile, mi guardavano così intensamente che sembravano volessero  racchiudermi in una bolla di cristallo. Come se così io potessi essere maggiormente Sua.

Certo per arrivare a quel modo di guardarmi e al mio sentire  non basta l’improvvisazione. Sono troppo razionale perchè possa capitare con un perfetto sconosciuto.

In un percorso come quello che sto intraprendendo è certo che la comunicazione fra schiava e Padrone ( e viceversa) prende strade sempre nuove e sorprendenti.

Sono consapevole di ritrovarmi famelica, quando capitano attimi come quello che ho vissuto. Particolarmente eccitata. Ogni cosa mi si potrebbe chiedere e si vedrebbe il mio capo annuire obbediente e la mia voce emozionata sussurrare “Sì, Padrone.”

Ecco, nell’incontro di qualche giorno fa, la situazione era questa  ma non mi si è chiesto nulla, sono rimasta a bollire delle mie voglie e della mia sottomissione. Languida e femmina in ogni singola fibra del mio essere. La cosa meravigliosa in tutto questo è che io non mi sia sentita frustrata.

Vorrei riuscire a spiegarmi meglio: Capita che nel bisogno e nella voglia di essere “demolita”  la possibilità che questo non avvenga crei in me, e in un sottomesso in generale, una sorta di fregola che nel momento in cui non trova un riscontro può creare un groppo nello stomaco. In questo caso tutto ciò non è avvenuto ma ho sentito in me la netta sensazione di godere di quanto io sia piacevolmente sottomessa, disponibile ed aperta ad ogni sua voglia. Anche in quella di non far null’altro che guardarmi, accarezzandomi, e godendosi la sua schiava in maniera amorevole.

Sono certa che i puristi del BDSM  storceranno in naso vedendo in un ipotetico incontro la mera necessità di dar sfogo agli istinti più crudi del rapporto. E non nego che la passione non è certo mancata fra noi durante questo pomeriggio. Ma io sono felice di ciò che ho vissuto e di quanto sto vivendo. Ho in me, chiara, la consapevolezza  che non voglio vivere di scatti ma preferisco correre una maratona, fatta anche di momenti come questi. Delicati ed emotivi.

Sento il bisogno di condire il mio essere schiava con attimi in cui il sentire diviene più intimista. E’ una sensazione inesplorata, senza dubbio. Questo me lo sta insegnando colui che mi possiede. La capacità del saper assaporare e apprezzare anche le note più lievi. Ed io mi lascio guidare anche in questo.

Apprendo ogni giorno la piacevolezza dei sentori più delicati.

Se questo sia o meno un traguardo, un limite raggiunto e superato, lo lascio a voi giudicare. Sinceramente non reputo importante spingersi sempre un passo oltre ai propri limiti. Ma la qualità di quel passo quello sì.

E’, per me, vita pura!

Vedere il mondo, in tutta la sua meraviglia aspirando all’impercettibile infinito. Cose pericolose da raggiungere, perché non serve vivere se non si tenta di superare se stessi sempre un po’ di più. Trovarsi l’un l’altro, e sentirsi, sentire semplicemente il proprio cuore battere come mai aveva fatto. Vedere il mondo, cose pericolose da raggiungere, trovarsi l’un l’altro, e sentirsi.

” I sogni segreti di Walter Mitty.”


Estetica della forma o formalismo?

Domanda a cui in realtà non mi interessa realmente dare una risposta.

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Mi è stato fatto un regalo.

Un  presente  natalizio in largo anticipo, assolutamente inaspettato,  che è riuscito a lasciarmi  senza parole. Il ché ha dell’incredibile, un  miracolo in pieno avvento.

Conoscevo l’esistenza  di ciò che mi è stato donato ma, onestamente parlando, mai mi sarei aspettata che una persona avrebbe anche solo pensato di farmici finire dentro. Si tratta di formalismi, di ufficialità che non mi hanno mai toccato davvero fino ad ora.  Io stessa non vi ho mai dato peso, ho sempre considerato più importante l’essenza della mia natura piuttosto che l’etichetta. Coloro che mi hanno affiancata in questo percorso sono sempre stati consci di come concepivo i rapporti e come me vivevano  il tutto in maniera più intima.

Partendo da queste mie esperienze è senza dubbio fuori discussione che colui che oggi mi guida, abbia l’innata capacità di stupirmi. Di cogliermi impreparata a dire qualsiasi cosa.

La mia devozione è stata premiata in un modo inconsueto. Un riconoscimento che ha del singolare.

Lo adoro davvero, perchè ho capito cosa l’ha mosso. Un gesto che vuole bilanciare premiando tutta l’attenzione che pongo verso di lui, la concentrazione dei miei desideri; in poche parole la mia schiavitù.

In Histoire d’O  la protagonista  viene portata dal suo Signore  in una casa  dove mettono anelli forgiati per l’occorrenza alle labbra vaginali e incidono a fuoco il monogramma del proprietario sulle terga della schiava.  Ecco! il mio regalo è sicuramente meno incisivo sulla  mia pelle ma assume ai miei occhi e nel mio spirtito il medesimo valore.

“I segni impressi, col ferro rovente, alti tre dita e larghi la metà, erano scavati nella carne e profondi circa un centimetro. Bastava sfiorarli e si percepivano sotto le dita.
Di questi ferri e di questi marchi, O provava un orgoglio insensato.”


No, non sono stata tatuata, marchiata o sforacchiata. Ci terrei a sottolinearlo. Ma sono comunque fiera. La mia sottomissione è riconosciuta  formalmente dal mio dominante ed è  anche motivo di suo orgoglio. Non mi sono mai servite vetrine
per rendermene conto, non ne sono mai servite anche a Lui. In questo caso, però, il vestito indossato per le feste da questa relazione mi entusiasma, mi strappa un sorriso timido ed un rossore acceso sulle guance. Immagino che qualcuno possa rimanere oscenato dalla scelta, addirittura disgustato dalla presa di coscienza dell’esistenza di qualcosa di simile, altri invece sono certa che esclameranno a gran voce  “embhè, che cavolata! ” .

In tutto questo io rimango convinta che il valore reale di ciò che viviamo, e crediamo, siamo noi stéssi a sancirlo. Cìò che per alcuni varrà nulla, per me ha un valore enorme. Un regalo preziosissimo che si “ruba” una mia nuova verginità. Che, tra l’altro, neanche mi ricordavo di avere.

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Ringrazio, emozionata, per questo dono: un piccolo tesoro che vive dentro di me, su di me, impressionato come quel marchio.

“… ed era vero che lei avrebbe dovuto accettare,acconsentire nel vero senso della parola, perchè nulla le sarebbe stato inflitto a forza, nulla a cui non avesse in precedenza acconsentito. Avrebbe potuto rifiutarsi, nulla la teneva in schiavitù, fuorchè il suo amore e la sua stessa schiavitù. Che cosa le impediva di andarsene?”

Già!Tu, che leggi, lo sai cosa mi impedisce di andarmene?

Io lo so, sì … cammino sempre insieme alla mia volontà. 

Per qualunque  altra cosa, ricorda, la formula è sempre la stessa  ” In caso di smarrimento riportare al legittimo proprietario!” 

Registration Number (SLRN):717-530-644

Grazie, Padrone.


Il privilegio di trovarsi dappertutto a casa propria appartiene solo ai re, alle puttane e ai ladri.

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E’ una stanza enorme ed allo stesso tempo minuscola quella che ci circonda, siamo noi a crearla con  il legame che ci unisce.

Una stanza che si nasconde agli occhi dei più, timida e im-pudica come la sottoscritta. Immersa in un pallido sole dicembrino, meno fredda di come me la sarei aspettata, non ha pareti, tanto meno soffitti, ma i suoi mattoni sono costruiti dalla passione che arde nelle pupille scure che si scrutano. E dalla loro fantasia.

Siamo fortunati, in ogni senso.

Le sue parole me lo ricordano, stretta in un abbraccio al sapore di costrizione.

Amo sentirlo attorno a me, mani serrate dietro alla schiena, mi fanno sentire al sicuro nelle braccia di chi ha tutti gli strumenti per demolire ogni mia certezza.

Trattengo il respiro, sulle labbra il sapore del caffè, ci sono troppe cose che vorrei dire, troppo poco il tempo per dar fiato ad ognuna di esse. Sento la necessità di godermi ogni istante, di respirare a pieni polmoni il dono dell’appartenenza.

Le dita che premono sui miei vestiti ad intensità variabile bussano alla porta della mia schiavitù che si spalanca senza remore accogliendo in me un momento a lungo atteso e finalmente premiato. Sembra passata un’eternità.

Ringrazio. Per ogni cosa. Solo oggi, scrivendo, mi accorgo di quante volte ho detto: Grazie, Padrone.

Sorrido di me stessa.

Ci sono stati giorni in cui il bisogno di un contatto è stato così forte che il respiro si smorzava fino a rimanere flebile, rivederlo  è stato come percepire i polmoni nuovamente pieni.

Fremo ripensando a come il suo sguardo mi ha sorvolato dalla testa ai piedi appena ci siamo incontrati, mi sono sentita soppesata, un esame  a pieno titolo. Una sensazione piacevole che premia la cura con cui mi sono preparata per Lui. Sono pignola fino all’inverosimile, lo so, non avrei mai tralasciato nulla per compiacerlo.

Esame superato a sentir il suo commento. Gongolo.

Oltre ad i suoi, tutte le persone attorno sembravano avere gli occhi puntati su di me, sono convinta di soffrire  un po’ di suggestione. Odio questa sensazione e la amo al tempo stesso. Un terreno nuovo che ho iniziato ad esplorare solo con Lui, su cui muovermi è abbastanza arduo ma che è altrettanto facile da dimenticare perdendomi in chi ho di fronte. Con il tempo non leggevo più la carta dei thè, ma solo due promesse da riscattare, una punizione da scontare e due caffè : “un dec e un normale”. Come poter badare ad altro se non a questo?

E’ fantastico ritrovarsi; sembra che sia ieri l’ultima volta che ci siamo visti, sembra che domani ci vederemo ancora. Il tempo trova nuovi spazi nella nostra dimensione. Assume valori prossimi al paradosso. 

Quando le mani, le sue, hanno chiesto di stringere collare e guinzaglio ho temuto per un attimo che me lo volesse mettere in mezzo a tutte quelle persone. Le mie mani si sono ghiacciate in un istante, mentre le sue dita accarezzavano il cuoio nero. Credo di essere stata in apnea  fino a che non mi ha chiesto di rimetterlo nella borsa considerando quanto fosse bello. Non so esattamente cosa mi turbasse, ma sono conscia di aver sempre vissuto la dominazione come qualcosa di intimo. Avere spettatori seppur inconsapevoli mi lascia decisamente inquieta.

Essere guidata in posti tanto familiari per una passeggiata ha reso nuovamente un colore “normale” alle mie guance, l’aria fresca  e la mano che stringeva la mia hanno rinnovato la tranquillità del mio cuore.

E’  sorprendente la leggerezza con cui passiamo da uno stato all’altro. Padrone e schiava, Lui ed io. Solo soluzioni di continuità. E’ qualcosa di magico. 

Ci fermiamo appena prima di raggiungere il “nostro” tavolo sempre nello stesso giardino. Ci siamo affezionati. Un momento a cui non do peso a sufficenza in tacita contemplazione di un bellissimo salice. Chiede conferma, annuisco sfoggiando una cultura botanica mica da ridere. Beata incoscenza, la mia. Ha lo sguardo di chi è sempre in procinto di dirmi qualcosa, seduti uno di fronte all’altra, anche quando non parla. Io so che se fosse in mano mia, la scelta, sarei già nuda davanti Lui  dicendo: fai di me ciò che vuoi. A pensarci bene forse lo sono stata anche se non esattamente come stavo immaginando.

Mi sembrava di scoppiare mentre lui mi faceva fremere. Ha scoperto il modo di farmi il solletico e che si diverta a stuzzicarmi è lapalissiano. Un predatore che gioca con la sua preda.

In compenso però le promesse sono state mantenute e di questo gliene sono davvero grata. Ho aspettato tanto e ne è valsa la pena. Anche se gli ho fatto saltare un bottone dei pantaloni, che vergogna!

Il mio essere femmina ha esultato in maniera tracotante. In  ogni rapporto che ho avuto, non mi era mai capitato di dover attendere così tanto. Devo ammettere che è singolare come situazione. Più di nove mesi. E finalmente i miei occhi hanno visto e le mie mani hanno potuto toccare.

E’ stato come liquefare tutti i ghiacciai del mondo con la mia adrenalina. Ho dovuto tenere a bada l’irruenza  seppur tenera del mio desiderio. Strumento del suo piacere in un perverso pomeriggio di tardo autunno. Ho sentito tutta la voglia scalpitare nei  tendini delle mie dita tremolanti. Il calore del contatto della pelle sulla pelle. L’effetto che tutta la gamma di emozioni che mi si leggevano in faccia avevano su di Lui. Pazzesco.  Mi sono sentita immensa nelle sue mani.

Il tempo evapora quando siamo insieme, io non so come faccia. Ma è sempre tutto tremendamente breve. O forse la mia ingordigia mi farebbe chiedere di più, se solo avesse spazio per trovar voce. Così, in un attimo, siamo nuovamente sotto il salice e le sue dita afferrano un ramo lungo sottile ed affusolato. Ero bollente, ed in quel momento anche consapevole che sarei stata punita.

Mi ha chiesto se potevo sopportarne diciotto, non ne ero tanto certa in quel momento, ma in qualunque caso avrei provato ad arrivarci. E così ho fatto.

Della mia punizione, impresse a tinte forti, ho delle immagini nitide che credo che non riuscirò mai a dimenticare. Il blu troppo acceso del metallo a cui ero appoggiata, la cura con cui Lui mi ha denudata. Il cuore che mi si è fermato mentre l’aria fredda lambiva la mia pelle bianca nell’attesa del primo colpo.

E poi arriva, il primo, e con esso altri otto. Nove in totale.

Allineati parallelamente sui miei glutei. Con le lacrime agli occhi, ringrazio anche questa volta. Si ferma qui.

Il dolore di quel rametto flessibile è un marchio a fuoco. Milioni di aghi che trafiggono la pelle. No, non sono masochista questo è certo. Ma incasso bene, e avrei preso anche tutti gli altri multipli, se lui avesse voluto. Sentire in me la disponibilità nel dargli la possibilità di donarmi del dolore mi ubriaca. Non gli piace farmi male, sembra che abbia sofferto con me; quando ho incrociato il suo sguardo mentre mi rivestivo, l’ho visto turbato. Vorrei che non fosse  stato così. Lo rassicuro e  lui rassicura me. Stavo bene e bruciava come il demonio. 

Ora che quelle nove strisce sono passate dal rosso acceso al viola sto ancora bene. Benissimo. Il cuscino sotto il mio sedere mi ricorda che è il caso che io faccia in modo di non dover a essere punita troppo spesso. Ma sono lieta che a prendersi questa parte di me, sia stato lui.

Un momento che sarà solo nostro, in questa grande casa, un mondo di bellezza nella stanza che ci appartiene.

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Beati coloro che coltivano la voluttà dell’attesa.

II la fouettait avec des branches
De laurier-sauce ou d’olivier
La bougresse branlait des hanches
N’ayant plus rien à envier
En faveur de ses fesses blanches

Rêverie sur ta venue- Guillaume Apollinaire

Stamane c’è un nodo nella mia pancia; indecifrabile e mistico.
Un senso di attesa che morde la carne con implacabile sadismo. Non vi è una reale motivazione per la sua presenza ma non è neppure così inaspettato e non è neppure doloroso o vissuto con malessere.
C’è.
Imperituro e nessun pensiero riesce a sviare l’attenzione da questo garbuglio emotivo. Un desiderio  inespresso che amplia il senso di fame.

Fatico a trovare le parole. Sento la necessità scrivere di tutto questo, ma  le parole sono riluttanti nel sovvenire alle mie dita. E’ sempre stato, non dico facile, ma naturale per me scrivere di ciò che vivo e sento ma, sono consapevole, in questa seconda metà dell’anno quel mio essere aperta allo sguardo del mondo è un po’ meno semplice. Il subconscio fa strani giochi con le capacità delle persone.

Senza dubbio sono troppo tenace per dargliela vinta.

Mi sento un po’ come Kafka nelle sue lettere a  Milena quando le dice

“La facilità di scrivere lettere – considerata puramente in teoria – deve aver portato nel mondo uno spaventevole scompiglio delle anime. È infatti un contatto fra fantasmi, e non solo col fantasma del destinatario, ma anche col proprio, che si sviluppa tra le mani nella lettera che stiamo scrivendo, o magari in una successione di lettere, dove l’una conferma l’altra e ad essa può appellarsi per testimonianza. Come sarà nata mai l’idea che gli uomini possano mettersi in contatto fra loro attraverso le lettere? A una creatura umana distante si può pensare e si può afferrare una creatura umana vicina, tutto il resto sorpassa le forze umane…”

Può mai essere uno sforzo sovrumano riuscire a sbloccare questi pensieri?

Siete mai incappati in qualcosa che diveniva il vostro chiodo fisso, che sapevate di dover attendere con pazienza anche se il tempo “giusto” sembra non arrivare mai?
Ecco sono in questa fase, piena di voglie ed impulsi e non v’è modo di viverli realmente. Nessuno ha colpa per tutto questo, ci sono forze che sfuggono al controllo anche del più capace. Alle volte bisogna solo vivere il momento come un ulteriore passo nel proprio percorso. Anche se all’apparenza sembra non accadere nulla, proprio nel nulla è quel qualcosa. Si sa, per chi mi ha letto qualche volta non sono mai stata una gran campionessa nel vivere l’attesa, lo sgambetto del lato razionale è sempre dietro l’angolo. Ma non questa volta. Nonostante le tempeste di desideri che faticano a trovare una loro epressione sono incredibilmente pacifica.

Sono certa che il giorno in cui questi possano trovare espressione arrivi. Il dove e quando non mi è dato saperlo.

Non so spiegarmelo, ma vivo bene.

Devono essere i piccoli compiti quotidiani che mi sono stati assegnati a rendere questo momento meno difficile, una sorta di blanda disciplina per evitare di far partire schegge impazzite di follia. Funziona.

Il mio impegno giornaliero, il tempo passato a donare una parte di me anche se a distanza aiuta a sfogare gli istinti e a smorzare le parti più aspre dei miei bisogni. Senza per questo spegnerle. Mantiene il livello di insoddisfazione alla soglia minima.

Mi crogiolo in umidi pensieri  resi indecenti dal mescolare delle mie e Sue fantasie.  Centellinati fra le dita e sussurrati a fior di labbra li ritrovo pensando a Lui ad ogni risveglio.E’ un archivio messo a nudo a qualunque ora  e  sulla pelle  s’appiccicano i ricordi accarezzando il bisogno di quel contatto che mi è impedito. La sera, sotto la trapunta, mi rigiro nel letto cercando di annullare le immagini che gorgogliano passione nelle vene. Mi addormento sussultando  come se l’indomani quell’attesa fosse finita.

Sto vivendo un enorme tease and denial. Quotidiano.

Questa mattina, quando i mei occhi si sono aperti guardando fuori dalla finestra, il focus dei miei pensieri si è fermato a quei rami ormai resi spogli dall’autunno.

A quanto uno di essi sarebbe stato bene fra le mani di chi mi possiede per dar libero sfogo alle di Lui (e mie) voglie.

Un pensiero secco, lampante di luci rosso rubino.

Che dipinga con chiari segni la fine dell’attesa.

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Non penso mai al futuro, arriva così presto.

Lo diceva Albert Einstein.
Ma lo sottoscrivo anche io.
Sembra passato un secolo dal mio ultimo scritto. Mi mancava davvero riuscire a fermarmi un momento per scrivere della parte di me che custodisco gelosamente.
La vita a volte tira dei colpi sotto la cintola che nessuno avrebbe mai il coraggio di avallare come per buoni. Di questi colpi ne ho ricevuti a bizzeffe in questo 2013, eppure vado avanti, Nonostante tutto sono ancora qui.
Inginocchiata  dalle difficoltà ma sempre rialzata.
In questi mesi il mio percorso ha dovuto rallentare e assopirsi, non avrei avuto l’attenzione necessaria per vivere bene ciò che ho la fortuna di avere
La voglia di percorrerlo, però, non si è fermata assolutamente. Anzi, spasimo  oltremodo di poter ricominciare a camminare con Lui.
Mi ha ordinato di immaginare. Prima di ogni altra cosa. Nonostante io abbia accumulato alcune punizioni, le sconterò più avanti. Ora, lui vuole che mi fermi e immagini.
Di fare un salto temporale in avanti non di giorni ma bensì di anni. Gli piace darmi da scrivere, in parte il mio orgoglio si bea del fatto di riuscire a dargli piacere anche con i miei pensieri fermati per lui su questo foglio. In effetti i compiti mi sono sempre piaciuti. Nonostante la loro difficoltà.
Certo che fra tutto ciò che avrebbe potuto chiedere l’immaginare il futuro quando oggigiorno sono abbastanza provata dalla vita infausta ha un chè di sadico. Devo ammetterlo.
Inoltre, questo ordine collide in pieno con   le mie insicurezze;  spesso, infatti, volgo lo sguardo al domani con ansia.
Ecco perchè, ciò che  Lui mi hai chiesto di raccontargli è una prova non solo di immaginazione ma un vero proprio muro, i cui mattoni sono legati assieme dalle mie fragilità.

“Come saremo fra dieci anni?”

Onestamente non lo so. Ma voglio provare ad arrampicarmici su questo muro e dare una sbirciatina a uno dei tanti possibili domani.

E’ faticoso, ma Lui già sapeva che lo sarebbe stato.

In questo momento sto sudando tutte le mie camicie emotive.

Chiudo gli occhi per un momento e lascio volare i miei desideri.
Sai mi immagino un Ottobre come quello prossimo venturo, con l’aria carica di umidità e i colori caldi che ci avvolgono. Chissà se ti ho mai detto che l’autunno è la mia stagione preferita. Mi immagino una sera, un invito per una cena. Sai la quotidianità è un fardello pesante da portare, quasi sempre, ma come è sempre successo necessito di ritagliarmi un’isola felice dove tutto e tutti sono tagliati fuori. Lavoro, casa, impegni. Anche il tempo non esiste più, quando sono con Te.

E’ un legame speciale quello che ci unisce più forte di ogni tipo di legame che abbia mai avuto nella mia vita.

Lo chiamano Dominazione, lo chiamano in tanti modi diversi. Per qualcuno ancora oggi è un vincolo che sfiora il patologico. Ma io ne ho bisogno. Come ho bisogno di te.

Sono passati tanti anni ma l’emozione di entrare nella tua sfera, di aprirti ogni mio cancello, permane: come fosse ogni volta la prima volta.

Il nostro viaggio ha macinato chilometri di strada, senza ombra di dubbio tu ed io siamo diversi da come eravamo quando, quel giorno, mi resi conto che ero Tua ancora prima di incrociare il tuo sguardo.

Ebbene questa sera, in questa cena che sto immaginando, io rivivo il mio rito di iniziazione e la mia voglia di essere ancora presa.
Un sospiro e sono proiettata nel futuro.

L’aria fresca mi sfiora il viso, la pelle rabbrividisce ma non può essere per il freddo che ancora non si presenta così inclemente.

I segni del tempo cominciano ad apparire sul mio corpo, i capelli lunghi e scuri ricadono sul bavero del trench.

Mi stringo dentro una sciarpa morbida, un momento di calore, che cela ad occhi indiscreti la striscia di cuoio attorno al collo che mi hai chiesto di indossare nella nostra consueta telefonata durante la pausa pranzo.  E così ho fatto, per te,  prima di incontrarci.
Suono il  campanello: nessuna parola ad accompagnare la porta che si apre davanti a me. Solo il fruscio delle calze mentre con passo sicuro entro nella tana del mio lupo.

Un sorriso, accompagna lo spogliarmi degli abiti formali. Sotto una divisa, il tuo regalo in bella mostra. E’  sempre come tornare a casa dopo una giornata impegnativa. Finalmente inginocchiata, cingente le tue gambe in segno di saluto. Tua, senza veli. Libera nella mia schiavitù.

Siamo una coppia come tutte le altre… e come mai nessuna.

Io e te. Senza tempo. Familiari come il suono del moschetto che scatta attorno all’anello del collare. Sempre lo stesso. Sempre il nostro.

Conosco i tuoi respiri. Conosco il tuo corpo almeno quanto tu conosci il mio. Ma ciò che non conosco è quello che tu hai ideato per noi in questa notte. E’ sempre stato così. Mai ho voluto sapere cosa architettavi e tu mai l’hai voluto dire. Amo visceralmente essere sorpresa.

Mi privi della capacità di vedere, ma non di sentirti in ogni sfumatura. Le mani bloccate nelle polsiere e aggangiate all’anello di bronzo che tutti coloro che entrano in casa tua lodano. Ti ricordi? Adorabile batacchio trovato in quel mercatino durante quel viaggio, sono certa che non l’hai dimenticato come così come il brillare del mio sguardo nel proporti di metterlo in sala.

Le tue mani, la tua bocca e il tuo bisogno di prenderti tutto ciò che già ti appartiene. Rinnovo i miei voti alla tua dominazione.  E’ una fame che non viene mai saziata, lo era allora così come lo è ora. La tua forza mi avvolge e coinvolge. La tua saliva che cola sulle mie labbra. Sublime marchio della mia appartenenza. Volge al rosso scarlatto il mio corpo sotto la tua presa. Le tue dita intrecciate ai miei capelli.

E poi finalmente la tua voce, imperativa. Ordini ed io eseguo,  chiedi e io rispondo. Affondo a piene mani nella mia vergogna. Demolita in ogni mio orgoglio mi ritrovo ansante e supplichevole di poter guardare il tuo volto.

No, non me ne andrò. Stanne certo rimarrò da te questa notte, non so come ho fatto ma è possibile.

Sono tua. Lo sarò da 10 anni, ormai.

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Domerai la “tua” fierezza.

Ci sono punizioni che si mimetizzano, addirittura che possono piacere.

Preventivate e ricordate a tempo debito. 

Così è iniziato il mio pomeriggio.

Con questo memorandum davanti a due caffè e una nottata orribile sulle spalle, ma felice di non aver chiesto di rimandare.

Mi perdo in chiacchiere leggere, come al mio solito, mi piace trovare l’intimità anche nel dialogo, amo interessarmi di ciò che accade nella sua vita.

La richiesta di mostrare collare e guinzaglio sul tavolino del bar giunge come un pugno alla bocca dello stomaco che spezza il fiato e la mia logorrea. Non ho mai fatto mistero della mia timidezza, non ho mai nascosto che  il “pubblico” mi mette a disagio. Profondamente.

Inspiro ed espiro lentamente cercando di non cedere all’iperventilazione, tentenno e ne sono consapevole, continuo a respirare inondando d’ossigeno il cervello disperatamente alla ricerca del coraggio per togliere quanto richiestomi dalla borsa.

Impreco senza emettere suono piegandomi sulla borsa e poi  in un sol gesto poso quelle due strisce di pelle sul tavolo.

E’ un gesto che non compivo da tempo. Tanto tempo. Troppo?

Un rito che ha in sè un valore estremo, almeno per me.

Trovo difficile articolare una frase di senso compiuto. Continuo a guardarmi attorno. Il cuoio rigido, largo un dito, è nuovo. Me lo fa notare.

Non avrei mai  usato ciò che custodisco gelosamente nel cassetto della mia scrivania. Avrei rubato a tutti, compresa me stessa.

“Questa è la mia punizione? “- domando- “E’ solo l’inizio, mia cara, vedrai che ti piacerà,  ne sono certo” – risponde-

Come è possibile che mi piaccia una punizione? Conosco già la risposta ma voglio sapere cosa passa nella sua testa.

Mi spiega che ci sono due tipi di punizioni: qualcosa che si vuole ottenere indipendentemente se la persona che le subisce gradisca o meno e la seconda dove l’imposizione coincide anche con la piacevolezza. Era ciò che pensavo.

La mia punizione in questo caso rientra nella seconda opzione.

Da sempre combatto con il mio orgoglio, credo che sia il mio peggior nemico nel mio percorso da sottomessa.

E’ ciò che mi frena e al tempo stesso lancia la mia lingua in battute sarcastiche quando la tensione cresce troppo in fretta.

Sdrammatizzo ma non mi da tregua, affronta con caparbietà ogni mio attimo di insicurezza. Gliene sono grata.

Dannato orgoglio che mi fa mordere la lingua nell’attimo in cui mi sento umiliata, che ricaccia le lacrime quando il cuore diviene pesante.

Orgoglio spinto all’estremo per non sembrare debole.

Posso soccombervi, rovinando il momento, o posso affrontarlo.

So che non è solo merito mio, ma, in questa occasione l’ho sconfitto e ho abbracciato la fierezza.

Sottile ma lampante differenza.

Ho compreso, per qualche attimo, di possedere  la consapevolezza del mio ideale.  So chi sono e mi sono fedele. Il terreno incerto sul quale  sto camminando non va contro ai miei valori. Io sono fiera di chi sono e di ciò che compio. Ogni mattina posso guardarmi negli occhi e sorridermi. Sorrido anche ora. Colui che mi vede davvero vi ritrova uno sguardo limpido,anche nel momento in cui, per timidezza o per pudore, istintivamente esso si abbassa, procedo a  testa alta.

Indossalo. 

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( Ho scoperto questo tumblr di un artista americano che mi ha colpito particolarmente http://lightworship.tumblr.com/)

Non verrei mai a meno di ciò che considero essenziale. Non mi snaturerei per accontentare con bugie o mezze verità colui che è la mia stella polare. Istintivamente e poi

consapevolmente annuisco alla richiesta imperativa.

Lo indosso con la stessa fierezza, sottolinea, che aveva Socrate davanti ai giudici.

E’ stato semplice? direi proprio di no,le mie mani tremolanti e i gesti confusi tradiscono le mie paure. Avrei preferito che me lo mettesse lui, ma la situazione di certo non lo consentiva.

Le persone attorno a noi non guardano e non si rendono conto che ciò che indosso è simbolo della mia resa. Non sanno e non curiosano. Io so quanto basta e la mia mente elabora il resto.

Trascorrono i minuti, in un tempo dilatato. Una bolla d’ovatta mi circonda quando la concentrazione si focalizza solo su questo tavolino e dai suoi occupanti. Abbandonata nelle sue mani e alla sua volontà.

Tutto ciò che ne consegue è un altalena emotiva, picchi d’intensità inauditi che colano fra le mie gambe come un fiume in piena. Sono i residui del mio orgoglio che scivolano soppiantati dalla mia fiera sottomissione.

Ha potuto vedere in me la donna deliziosa  che  serba  nella sua carne un languore mesto e struggente. Quella sottile striscia di pelle che adorna la  malizia lampante sul mio viso.Mi ha trafitta con un dardo caustico che scava dentro. Ad ogni frase che risuona nelle tempie come spillo mi ritrovo spogliata di ogni armatura. Senza pietà mostrata al mondo inconsapevole. Travolta dall’onda impietosa della tensione. Nutro con la mia carne il suo ego.

La punizione di oggi mi vede come  fiera domata a carezzare nuovi cieli. Abbandonata al giudizio del resto del mondo, solo in apparenza. Traboccante di lacrime nettarine.

Una bocca che supplica di essere riempita.

“Domerò la tua fierezza

ch’il mio trono aborre e sprezza,

e umiliata ti vedrò.

Tu qual Icaro ribelle

sormontar brami le stelle,

ma quell’ali io ti tarperò.”


Si può scoprire di più su una persona in un’ora di gioco, che in un anno di conversazione.

«Era la cosa che aspettava da tempo, la cosa che le faceva trattenere il fiato ogni volta che lui le accarezzava la schiena, ogni volta che le slacciava i jeans.
Ripeté mentalmente la parola e sentí ardere le guance, poi un senso di ebbrezza vertiginosa, come un’eroinomane al primo irrompere dell’ago in vena: un istante di folle attesa prima di essere sommersi dall’onda.
– D’accordo – disse».

Il gioco, Melanie Abrams –

 

Trovarsi alle 16 di un assolato pomeriggio infrasettimanale non è una scelta fra le più fortunate. O no?

Soprattutto se l’appuntamento si dirige in un parco pubblico di tarda primavera.

Troppa gente attorno. E’ il mio primo pensiero.

Mamme con prole urlante che vorrebbe solo giocare sulle giostine che agghindano il verde.

Due signori piuttosto anziani.

Una donna con la spesa.

Qualcheduno troppo impegnato per alzare la testa e guardarsi attorno.

E noi.

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Una coppia come tante, affettuosa, intima. Assolutamente confondibile.

Ma niente è come sembra.

E’ il gioco in cui Lui mi vuol portare. Oltre i miei margini di sicurezza. Molto oltre.

E dire che tutto è partito da una telefonata inaspettata.

” un caffè fra un’ora? “

Come dire di no ad una simil offerta: una corsa affannata sotto la doccia, l’armadio spalancato, un vestito leggero verdeacqua e un trucco sottolineato dall’eyeliner.

Vederlo è sempre un’emozione fortissima. Il desiderio per lui mi fa risplendere la pelle come squame di sirena.

Il legno della panchina su cui siamo seduti è un solido appiglio per non galleggiare per la improvvisa felicità.C’è il vento leggero che fa frusciare le betulle che ci circondano, l’erba fresca solletica i piedi scoperti dai sandali.

Tutto così perfettamente tranquillo in apparenza.

Sono stata cresciuta con un profondo senso del pudore, di cosa è opportuno e di cosa non lo è. Sentire violata questa mia educazione devo ammettere che mi accende in una sorta di vertigine. Sempre al margine dell’inaccettabile.

Anche se fa caldo le mie guance non virano così spesso di colore solo per qualche raggio di sole.

Sono le sue parole sussurrate all’orecchio, il mio vestito che offre così tanti punti deboli che ogni assalto delle mani è inarrestabile. E’ compiaciuto dall’effetto che ha su di me, ha lo sguardo del goloso seduto ad un banchetto.

Nessuna spallina limita le sue dita che vogliono scoprire il seno.

Lo sentirà il mio cuore esplodere in un battito convulso mentre mi stringe a sè limitando l’altrui visuale alla mia nudità?

Respiro affannata mentre gli occhi si riempiono di eccitato terrore.

Labbra che baciano, labbra che percorrono i brividi, che li creano.

Di nuovo coperta e ricomincio a respirare. Sì oltre i miei margini di sicurezza, ma abbandonati con totale fiducia. Come una giovinetta che impara a nuotare insieme al suo istruttore.

Non riesco a staccare le mani dalle sue, gli occhi dai suoi. Senza quel contatto crollerei in milioni di piccoli pezzi, travolta dalla mia vergogna.

Ora è la gonna che si alza,osservo l’ennesimo assalto e la mia voce trema mentre istintivamente pongo una remora assolutamente sgramaticata: ” troppe cosce per i bambini?”

Ridiamo. Una grazia leggera concessa alla mia tensione.

Ma non demorde il suo intento.

Sa che sono eccitata, e vuole sentirlo. Gli slip sono già bagnati quando le dita li sfiorano, la domanda era d’obbligo.

“come mai tutta questa umidità?”

Non rispondo subito, farfuglio. Muoio alzando gli occhi al cielo.

Tirata su di lui, penetrata a fondo dalle dita . Mi contraggo. I gemiti muoiono in gola.

Questo non è insegnarmi a nuotare nel mare della mia timidezza, ma bensì sfondare con un battifredo ogni mia remora in un assedio senza tregua.

Tremo. Ansimo affondata nell’incavo del collo di lui. Sono assolutamente presa. Una bambola fra le sue mani.

Colo sulle dita che mi esplorano a fondo, le stringo dentro di me in ondate di piacere.

Arresa, in questo gioco perverso alla sua volontà. Completamente sua.

Comunichiamo in una crescente passione molto più di quanto le parole lascive non riescano a fare.

Sono i corpi che parlano mentre le bocche si fondono, lo sguardo mi scava negli occhi in cerca di assenso.

Se dovessi parlare il mio raziocinio striderebbe come unghie sulla lavagna, lascio che sia tutto il resto a palesare quanto tutto questo sia ciò che voglio, che la strada percorsa è quella giusta.

Prende e pretende ed io, con cieco trasporto, dono tutta me stessa.

Il mondo attorno scompare perchè lui vuole che io non me ne curi. Resa oggetto e soggetto della mia sottomissione e del suo comando, sospinta a valicare il limite della decenza, abbandonata all’ estasi senza difese.

E’ il suo gioco che mi prende.

La mia resa vede entrambi vincitori.

“la prossima volta autolavaggio in bikini?”

“no, il bikino,no

(ok, ho il cervello annacquato!)

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Il codardo è uno che prevede il futuro. Il coraggioso è privo d’ogni immaginazione.

” Sai non penso di essere una donna così coraggiosa!”

“certo che lo sei, anche se ancora non lo sai.”

Ci sono compleanni che valgono la pena di essere festeggiati.

Soprattutto quando non avresti mai immaginato di farlo, avvolta in un abbraccio, sorridendo circondata da un affetto caldo e confortevole.
Eppure in questa pacatezza basta una sua parola, una richiesta, ed ancora una volta la bocca dello stomaco si chiude, stretta da una morsa di terrore.
Non so rispondere, non so dire, l’ordine sfida il mio equilibrio ed  anche quando da dentro di me le parole scorrono fluide nel momento in cui devono essere prononuciate svaniscono in un mormorio indistinto sulle labbra.
In silenzio, con gli occhi brillanti di paura e commozione, rimango a guardare mentre una mano gioca con i miei capelli e il suo sguardo eloquente invita all’ubbidienza:
“Sì Padrone”  neanche io so con che forza abbia accettato quando le ginocchia sono travolte dal tremito.
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Non  mi sono mai considerata una donna temeraria. Disegnando un’ipotetica curva gaussiana, rappresentante l’andamento del coraggio con il trascorrere del tempo nella mia vita, non credo che potremmo notare un picco altissimo.
Sono una persona che ama vivere tranquilla, generalmente.
Eppure c’è un altra parte di me che invece scalpita, sobbolle e fermenta. Un lato del mio carattere simile ad un vulcano inesploso che coccola magma nel suo ventre: un giorno sono quasi certa che esploderò ( si spera metaforicamente) divenendo nuova krakatoa.
E fra tutte, la mia più grande paura, non ho alcun dubbio a riguardo, sia esattamente quella di perdere il controllo di quel lato di me pur sentendone l’assoluta attrazione.
Sono una bambina che guarda la fiamma dentro di sé e prova a toccarla, bruciandosi di tanto in tanto ma non per questo apprendendo che quel dolore è controproducente.
Mi piace quella paura, mi piace quella sensazione di tachicardica tensione. Mi piace lasciarmici avvolgere come un guanto perfettamente calzante.
Io sono spaventata, ma sono felice di esserlo. Fossero tutte così le paure che dovrò affrontare nel resto della vita metterei una firma ora.
Anche e proprio perchè non sono l’eroina incoscente devo essere assolutamente certa che una sorta di controllo in queste mie scosse telluriche vi sia, se non da parte mia da parte di chi mi possiede. E’ una conditio sine qua non.
Ecco perchè ad oggi , quando cade per la terza volta il giorno del mio compleanno in questo posto, mi accorgo come nel spegnere le candeline  il mio desiderio non cambi. Chiudo gli occhi e invoco il mia eruzione controllata. Costruttiva e non distruttiva.
Mi rileggo  e mi rivedo: triste e carica di speranza, entusiasta ed adrenalinica ed infine fiera e consapevole.
Non v’è nulla al mondo che io desideri di più che sentirmi al posto giusto e al momento giusto. Abbandonata con serena fiducia nelle braccia di chi flagellerà le mie paure con gentile sicurezza.Valorizzata in quel lato di me che sprigiona energia viva e vitale.
Ottenere il meglio da me, da Lui, da noi.
E’ vero sono un anno più vecchia e non ne facciamo una tragedia.
Sì ho fatto un passo oltre ai miei marigini di sicurezza.
Ma la cosa più straordinaria è che quella curva senza picchi ha, da qualche tempo a questa parte,  avuto i suoi parametri fuori quota  e anche se non lo si nota, in quella linea morbida di una collina docile della mia quotidianità, dove tutto è prevedibile,  io ho chiuso gli occhi ed ho smesso di immaginare accogliendo ogni nuova asperità.
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Non si deve misurare la virtù di un uomo dalla sua eccezionalità ma nel quotidiano.

La vita quotidiana nel suo svolgersi puo’ regalare le sensazioni più forti di qualsiasi effetto speciale.
La vita quotidiana è fatta di piccole cose straordinarie che se colte nella loro bellezza sanno regalare una serenità duratura.
(Stephen Littleword, Piccole cose)

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Credo che ci siano quotidianità che vorrei vivere.

Non mi è capitato spesso di ritrovarmi a pensare di poter vivere un rapporto D/s tutti i giorni: ovvero come parte integrante di una vita più o meno articolata come quella di ogni coppia.

Non sono sicura di aver cambiato idea al riguardo, anzi, serbo notevoli dubbi sul fatto che portare un rapporto a 24/7 (ventiquattro ore su ventiquattro, sette giorni su sette) sia praticamente impossibile nonchè deleterio per la durata e la qualità dello stesso .

Eppure, sono altrettanto certa che la mia indole al servizio mi porti alla consapevolezza d’ avere un bisogno intimo di prendermi cura di chi mi possiede.

Capita che mi ritrovi a fantasticare su come sarebbe accoglierlo a casa dopo il lavoro, preparargli un bagno caldo o cucinargli la cena.

So che questo stride con anni di evoluzione in ambito culturale sul ruolo della donna all’interno della società.
Ma credo che sia superficiale limitarsi a tacciare questo pensiero come affronto all’emancipazione.

Vorrei essere una sorta di commistione fra una casalinga anni cinquanta e una housemaid.

È così terribile?

Amo più di ogni altra cosa sentire che i miei sensi sono protesi a chi mi domina, amo percepire che la mia attenzione pizzica rivolta alle sue esigenze. Non mi annullo facendo tutto ciò ma ne traggo un piacere ed una soddisfazione profonda che arricchiscono l’intero mio spirito.

Mi ritrovo a fantasticare di ricevere una rigida disciplina, e precisi ordini.

Immagino di ricevere ricompense e punizioni per il mio servizio.

Fremo al solo pensiero.

Onestamente quel che più m’appaga, anche solo chiudendo gli occhi spaziando su una possibile convivenza con un compagno-dominante, la possibilità di sentire l’emozione che cresce sapendo che di lì a poco si starà insieme, provare la libertà assoluta di vivere determinati istinti se e quando affiorano, con naturalezza. Potermi permettere di portare segni con orgoglio e non nasconderli. La rilassatezza di stare seduta ai piedi di un divano guardando un film mentre mi accarezza morbidamente i capelli come fossi una gatta che fa le fusa.
Avere il corpo scosso come oceano in tempesta emotiva, vivo e vibrante, a cogliere un cambiamento di tono nella voce. Ascoltare silente come si declina l’amore. Carpire la sua essenza e viverla dentro la pelle.

Mi sfugge un respiro profondo persa in questi pensieri e affondo nella passione di una mano che mi afferra la natica mentre apparecchio la tavola o sul palato assaporo già il suo sapore spinto infondo alla gola mentre fa una telefonata.

Sempre disponibile , sempre accessibile .

Mi scopro desiderosa di vulnerabilità, mi accarezza con il suo il profumo.

Questi pensieri accendono forti la magia del pulsare : il sangue veloce nelle vene, il cuore imbizzarrito, i pensieri martellanti e la mucosa del mio intimo.

Non sono sicura che sarei capace di vivere tutto questo ma oggi, quel susseguirsi di rituali, quella quotidianità, forse, un po’ mi manca.

Oggi, dedicandomi a Lui vorrei dare un senso reale alla parola dedizione.

Pensieri nuovi, detti senza emettere suono.

Sapere di essere nel posto giusto al momento giusto.

Sempre.


Non tutto ciò che può essere contato conta e non tutto ciò che conta può essere contato.

 

Sai contare?

( un sopracciglio si alza)

Credo che me l’abbiano insegnato per bene in prima elementare.

(sorriso)

E fino a quanto sai contare?

(espressione ignota ma che deve essere stata abbastanza eloquente)

Non ne sono sicura, ma prometto di impegnarmi.

(ironica, tremo)

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Le ginocchia puntano secche sul pavimento freddo, le braccia tese mantengono la posizione. Mi allarga le gambe e sistema i piedi, è la disciplina della postura : testa alta e sguardo in avanti. Una carezza delicata sui glutei esposti, bianco candore pronto a virare di colore.

Gli ho ricordato che meritavo  una punizione, ora saldo il mio debito.

La mano si alza e si schianta in un suono inconfondibile, brucia facendomi vibrare, pizzicore delizioso che strappa un sospiro.

Uno.

Ne seguono una serie, non manco un numero, ansimo  con lo sguardo che diviene liquido, tremo. Mi bacia, cerca la mia lingua,  mi accarezza. Come può tanta dolcezza non stridere con questo pungente delirio?

La pelle s’incendia , i colpi crescono di intensità e spezzano il respiro. Due, tre , quattro… dieci, dodici… diciotto…diciotto. Senza fiato.

La mano si ferma.

– Semaforo? verde, giallo, rosso… siamo sull’arancione? direi più sul giallo, Abbiamo finito?-

Non so come ma il cuore sembra spaccarsi da tanto intenso è il suo galoppare. Sono un fascio nevrile ed emozionato sotto le sue dita.  Non ricordo perchè ho meritato questa punizione, non in questo momento. Vorrei appoggiare la testa al suo petto eppure mantengo la posizione. Mi tocca. La mia fessura riconosce quelle dita, si apre e si bagna, trascende ogni mio controllo. Adoro questa sensazione. Adoro essere alla sua mercé.Il suono della sua voce mi arriva avvolgente, mi piace tutto di Lui. Mi penetra e mi fa tremare come una foglia e mi riempie dirompente con dita vogliose. Mi scuote intensamente l’idea che non c’è nulla che gli sia precluso, ogni sfumatura gli appartiene, se la prende.

Diciannove, venti. Due colpi secchi inaspettati. Non avevamo finito.

E’ il giorno del non guardare, non vedo le sue espressioni, lo vedo solo quando mi bacia, ama non concedere più del voluto. Vuole vedermi affamata.

Riempita da un vibratore torno a contare. Ogni penetrazione un numero, perdo il conto ed ogni volta ricomincio. Troppo intenso, troppo, la fica si contrae. Troppo presto, e non ho il permesso di godere, devio l’attenzione sulla maniglia della finestra che si staglia davanti al mio sguardo, ma devo contare, troppe cose, perdo il senno. Cinquanta, ora posso. Travolta. Ma questo orgasmo è suo, gli appartiene, lo ha strappato alla mia carne con un desiderio devastante, ma soprattutto lo ha strappato alla mia volontà.

Non so spiegare quanto lo volessi dentro di me, subito, caldo e profondo a godersi le intense contrazioni, lasciva puttana, non ho proferito parola, ma tutto di me lo urlava, ne sono consapevole. Lo era anche Lui.

Padrone di ogni mio sospiro.

Mi prende, quando ancora io mi chiedevo se lo avrebbe fatto lo appoggia su di me  e affonda.

Io continuo a contare: siamo passati alle decine, infiniti numeri che sottolineano le volte che mi fa sua. Fisicamente sua.

Inutile dire che tenere il conto è qualcosa che credevo più semplice. Gode di me e io godo con lui.

Persa e ritrovata. Cento colpi, ricominciati almeno una volta per sentire i fiotti caldi colpirmi ed inondarmi.

Piena di Lui, piena con Lui.

Anche ora, qui ferma a scrivere, con un unico pensiero nella mente.

Vorrei che ieri fosse oggi. Ancora una volta oggi.

 

 

 


Le bestie non sono così bestie come si pensa.

Accasciata sulle ginocchia le mani a terra e il capo abbandonato morbidamente sulle tue ginocchia.

Oggi vuoi che sia solamente  una bestiola da compagnia, ed io entro nella parte. Come tale mi trovo a fare le cose che farebbe un cane: abbaiare, leccare, scodinzolare ed amarti  incondizionatamente.

Anche se tu fai finta di non vedermi ed io sospiro.

Testa inclinata, orecchie dritte, attendo un tuo gesto e ti guardo immobile. Silenziosa.

Mi accuccio con il muso appoggiato alle zampe allungate  e aspetto un tuo segno.

Educata, ma pur sempre istintiva. Lo capisco che mi segui senza ecclatanti manifestazioni. Proprio come se fossi realmente ciò che mostro.

Ho sete, la gola mi si asciuga per l’incapacità di lasciarmi completamente andare. Non sono mai stata una pet, non così.

Hai tutto il mio impegno.

Mi avvicino alla ciotola che tu hai predisposto per me, a colpi di lingua l’acqua fresca mi disseta. Gocciolo sul mento, il primo istinto è quello di pulirmi. Non posso farlo.

Poi torno da te, intento davanti al computer ticchettante sulla tastiera, ti annuso, mi guardi sbrodolare e ridi.

Avvampo e  mi allontano poco più in là nella mia cuccia.

Fremo e lo sai. Vorrei alzarmi e dirti che tutto ciò è ridicolo e porre fine a questo tormento, ma non lo è ridicolo. Non lo è.

Senza nessuna spiegazione, forse solo un movimento fugace del tuo sguardo su di me e i sensi si accendono, mi stai chiamando vero ? Eccomi nuovamente ai tuoi piedi, uno sbadiglio che pare un mugugno e all’improvviso sobbalzo e ti giro attorno con gioia mai provata. Fuggo e ritorno, ti spingo con il naso e mordicchio le tue dita, tiro i tuoi vestiti e poi rifuggo. Guardami ti invito al gioco, prepotente e dolce come solo una cucciola sa fare. Piegata e con il sedere in alto, ti pare di vedermi scodinzolare. Abbaio e nel mio sguardo vi leggi un sorriso.

Sorridi, ma senza mostrarmi i denti.

Mi lanci un gioco lungo la stanza che rotola via dietro ad un divano ed io, senza indugio, la rincorro e te la riporto, con lo sguardo fiero di davide che ha ucciso golia. Anche se è solo una pallina di spugna e non un gigante tiranno. Abbaio, questa volta credo davvero di scodinzolare.

Un tuo gesto ed il cassetto accanto a te si apre e io lo vedo stretto fra le tue mani, i miei occhi spalancati e le pupille dilatate, il collare e il guinzaglio, mi chiami e il mio nome lo riconosco dolce e familiare sulle tue labbra, mi appoggio ai tuoi stinchi guardandoti languida e porgendo il collo.

Andiamo a passeggio? un nuovo gioco?

Una carezza sul mio capo appena dietro la nuca, e senti che mi abbandono.

– Usciamo per una passeggiata –

Il cuore scatena il tumulto, sbianco ma l’emozione tocca picchi mai provati. Saltello sulle ginocchia che si indolenziscono sul pavimento freddo, abbaio entusiasta. Mi lancio su di te facendoti capire che accetto.

Mi fai alzare e ti seguo, tremo e lo sai,  portata a guinzaglio nel giardino sotto casa, celata dal buio della sera. Gioco con te e con questa parte che mi chiedi di donarti. Vuoi che esca il mio irrazionale quella porzione di me più istintiva, quella primordiale, vuoi vedermi improvvisare colta dallo stupore.

Annuso l’aria e ti sto al piede, un piccolo strattone al guinzaglio di cuoio e ti seguo. Mi parli morbidamente e io non so smettere di cercarti. Non pensavo potesse essere così. Lo ammetto sono (ero) scettica.

Ora capisco il senso di pace, senza fare domande. L’abbandono totale a qualcosa che possa essere il centro dell’universo : senza parlare, senza dubbi. Bestia per il suo Padrone, cagna ubbidiente che si fida ciecamente.

” E’ ora che tu faccia pipì, cagnetta, perchè non ho nessuna intenzione di svegliarmi in piena notte con te che ti lamenti. “

Esterrefatta. Umiliata. Incendiata.

Un colpo secco in pieno stomaco.

Vacillo, lo sento e te ne accorgi anche tu.

Una carezza sulla guancia che bolle incandescente. Ti sorrido sempre senza proferir parola.

Un sospiro, la bocca che si apre  e si richiude. Non c’è reticenza che io voglia esprimere.

Mi guardo attorno per sincerarmi che nessuno mi possa vedere, lo sguardo lucido incontra il tuo.

Senza perderti mai di vista, calo i pantaloni e gli slip.

Accucciata e tremante.

Svuoto la vescica.

Hai vinto tu. Ho vinto io.

“Andiamo dai, rivoglio la mia Donna.”

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Non si scrive perché si ha qualcosa da dire ma perché si ha Voglia di dire qualcosa.

Cosa? Sì, ecco la penna.

Tue le dita che la stringono.

Mi scopri.

Vuoi scrivermi addosso?

Respiro tumultuosa nell’uragano dei sensi che imperversano mentre tutto scorre.

Richiami la mia pelle ed essa ti si mostra in ogni brandello che possa essere denudato in mezzo agli altri.

Si vorrebbe di più. Molto di più, almeno io lo confesso.

Mi guidi in questo viaggio mentre divengo tela dipinta di nascosto, celata ad occhi indiscreti.

Scrivi, marchi ed imbratti in bella grafia quanto più ti passa per la testa.

Stili una mappa del tesoro che io possa ritrovare nel silenzio della mia stanza, nuda davanti allo specchio.

Oscenità frammiste a dolci confessioni.

Scivola lo sguardo e leggo la tua fame, come tu leggi la mia dietro le ciglia di truccate dal rimmel.

In questo momento, arrivato senza essere atteso, sento le tue mani che stringono la mia coscia  fasciata in jeans aderenti. Le tue dita cercano lembi di pelle a cui consegnare il tuo ordine e trascinarmi sulla strada dell’oblio inatteso. Desiderio di toccarti e annusarti, come cane impaurito, cerco in chi ci passa attorno lo sguardo di chi ha capito cosa sta succedendo. Fino a quando la tranquillità del tuo mi ha fatto sparire il mondo attorno. Ho fame di sentirti, la tua eccitazione che preme su di me , carnale sostanza  che mi rende stupefatta.

Quale reazione per averti dato  soltanto una penna.

Socchiusi gli occhi  sento il respiro dolce e gentile, così contrapposto a quello che invece agita il mio petto: paura, adrenalina e fame. Inchiostro che che mi sfiora, brividi disperati che increspano la pelle. Che voglia di bere dalle tue labbra quella saliva che sazia la mia sete del tuo piacere. Nel vento si disperde l’odore del mio stillato dallo scorrere  delle provocazioni scritte su di me.

Bocca contratta allo scorrere dell’inchiostro, la pelle divampa, il rossore arriva alle clavicole mentre un nuovo aggettivo agghinda la scollatura della camicia. Sono fuoco e tu sorridi compiaciuto. Sono complici evasioni nel tempo di un caffè, lo comprendo, ma  non sono parole al vento bensì dichiarazioni d’intenti. Dici non dicendo tutto quello che scorre dentro. Passione, desiderio, possesso, voglia.

Sono solo parole che prendono forma ed in esse si riscoprono intere galassie.

Non basta  è chiaro ad entrambi. Ti sei impresso nelle mie nudità, invisibile ad altri ma non  ai nostri occhi. Su di me sei il poeta che a mani nude va a confessarsi. Sei la bestia feroce che scolpisce il languore della mia eccitazione. Eccomi vulnerabile nello sguardo  e nella carne la tua pelle d’avorio divenuta pura tensione .

E’ un itinerario quello che redigi per me, sul mio corpo.

Mi fai perdere e ritrovare, a tuo piacimento.

Io seguo la rotta disegnata e mi affido a te.

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La prova del Nove

Fra tutto ciò che avrei mai potuto immaginare per la mia persona questo sicuramente non era passato neanche nell’anticamera del cervello.

Un numero. Nove.

Sorpresa, Stupore, Dubbio.

Nove dici? cos’è Nove?

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È un numero composto, divisibile per 1 e per 3; è un numero difettivo.

È il quadrato di 3.

È un numero perfetto totiente.

Un numero è divisibile per 9 se e solo se la somma delle sue cifre lo è.

È un numero rifattorizzabile, essendo divisibile per il numero dei suoi divisori.

È un numero idoneo.

Ogni numero naturale è la somma di al più 9 cubi.

Se a qualsiasi numero naturale si sottrae la somma delle cifre che lo compongono, si ottiene un multiplo di 9.

Nel sistema binario è un numero palindromo.

È il numero atomico del fluoro.

Indica il periodo della gestazione, nove mesi per la nascita di una nuova vita.

Nel De coelesti hierarchia lo Pseudo Dionigi Areopagita stabilisce una definitiva sistemazione degli angeli in nove cori, a secondo della vicinanza a Dio.

Nel Cristianesimo il numero nove è simbolo del miracolo in quanto quadrato di 3, simbolo della trinità e del sacrificio di Cristo per la salvezza degli uomini. Nei Vangeli, Gesù crocifisso alla terza ora, comincia l’agonia alla sesta ora, e spira alla nona.

I riti degli sciamani fanno riferimento a nove cicli, nove dèi, nove rami dell’albero cosmico; designa i livelli e gli ostacoli che dovevano essere superati quando lo sciamano ascendeva al cielo in cerca di poteri spirituali.

Secondo la Cabala forma, insieme al sette e all’otto, la Terza Triade; è il mondo delle forme astrali dove si trovano le immagini astratte delle cose in fase di materializzazione. E’ associato alla lettera TETH che significa serpente; è la luce nascosta, indica la proprietà dell’introversione, il bene è nascosto in sé stesso. Il suo significato è anche il “segreto del potere del serpente”, della libido presente alla radice del desiderio di unione; è la potenza dell’anima di dare il giusto giudizio circa la realtà. E’ il numero della potenza sessuale e della verità.

I gradi del trono imperiale cinese sono nove e nove sono le porte che lo separano dal mondo esterno; ai nove cieli si contrappongono le nove Fonti che sono le dimore dei morti. I cieli buddisti sono nove anch’essi; quello cinese ha 9 piani e 9.999 angoli; tale numero è alla base della maggior parte delle cerimonie taoiste. Viene considerato la cifra della pienezza; è il numero dello Yang, per questo i calderoni di Yu sono nove e il cinabro alchemico diventa potabile solo alla nona trasmutazione.

Nella Teogonia di Esiodo. Nove giorni e nove notti sono la misura del tempo che separa il cielo dalla terra e questa dall’inferno. Un’incudine di bronzo cadrebbe dal cielo per nove giorni e nove notti prima di raggiungere il decimo giorno la terra. Allo stesso modo un’incudine di bronzo cadrebbe dalla terra per nove giorni e nove notti prima di raggiungere il decimo giorno il Tartaro.

Nove sono le Muse, personificazione per le scienze e le arti della somma delle conoscenze umane. In mitologia sono nate da Zeus in nove notti d’amore.

Secondo l’esoterismo dell’Islam scendere nove gradini senza cadere significa avere dominato i nove sensi; è il numero che corrisponde ai nove orifizi dell’uomo e simboleggia le vie di comunicazione tra l’essere umano e il mondo.
Nelle credenze popolari azteche questa cifra era associata alle divinità della notte, dell’inferno e della morte, quindi è un numero temuto. Sotto l’aspetto liturgico la novena rappresenta il compimento, il tempo completo. Secondo il simbolismo massonico il nove indica una germinazione verso il basso, quindi materiale, mentre il sei è l’emblema della germinazione verso l’alto, quindi spirituale; queste due cifre sono allora l’inizio di una spirale.

Nella Vita Nova, Dante identifica nel numero nove la massima espressione dell’amore divino in quanto esso ha come radice quadrata proprio il numero tre, sacro per i cristiani come simbolo della santissima trinità. Nella Divina Commedia di Dante nove è anche il numero dei cerchi infernali e simmetricamente nove sono le sfere celesti del paradiso.

È il numero della generazione e della reincarnazione. Numero dispari è dinamico e attivo nella sua natura e nei suoi effetti.  Il nove seguendo all’otto, che indica uno stato limite, è il superamento nella creazione. Il nove ha come proprietà la permanenza. Infatti il numero nove torna sempre al suo stato antecedente e non si trasforma mai veramente, conservando uno stato fisso e immutabile.

Nel calcio il numero 9 è usato spesso dalle prime punte.

Ha la forma di una luna crescente.

Nove … molto più di un semplice numero. Ero convinta già al primo Nove.

Nove è la mia natura, così rotonda ed al contempo spigolosa.

Nove è un dieci mancato, è la perfezione da esigere e desiderare… il David che esce dal marmo.

Molto più di un semplice numero, sono io.

Non solo la somma algebrica dei miei dati anagrafici.

E’ ciò che sono.

Sono le volte, ripetute infinitamente, in cui direi di sì.

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…Non bisogna accanirsi nel capire ma tentar di sentire, con abbandono…

Questo inverno è arrivato prima, è arrivato improvvisamente, senza che io abbia potuto fare nulla a riguardo.

Questo inverno sembrava non passare più; niente neve, niente pioggia,  niente mantello a coprire la terra per proteggerla dal freddo, solo ghiaccio, solo sonno.

Poi ha nevicato, piccoli fiocchi e tutto è divenuto bianco e pulito, l’aria si è raffrescata, malandrina entrava frizzante nei miei polmoni.

L’assoluto silenzio di qualunque rumore potessi avere attorno e dentro di me.

Questo inverno è stato lungo, il più lungo che io abbia mai avuto, doloroso e feroce, pieno di perchè, pieno d’insicurezze. Così sazio di sfiducia che è riuscito a farmi dubitare che potesse arrivare,  e volessi veder giungere,  una nuova stagione.

Eppure, nonostante questo, nel mio giardino da qualche giorno sono spuntati crochi gialli, impavidi, che si stagliano fieri e tenaci: sfidano il mio inverno.

Lo sconfiggono.

Sta arrivando la primavera, senza che io abbia premeditato nulla. Nella mia primavera ci credo fortemente e credo di meritarla.

La percepisco qui ed ora svegliarmi da questo letargo invernale, dal sonno più  profondo.

Gli occhi che, dalla tenebra del loro serrarsi, si aprono e ne cercano un altro paio. Un sorriso che si allarga, un guancia che prende colore, un labbro serrato fra i denti. Un’ inquietudine di sensi che volano sulle montagne russe, milioni di parole, di cui molte non dette ma tutte recepite.

Non é primavera, non lo é ancora del tutto, ma è la sua primavera che m’invade, mi travolge e m’avvolge. E’ una corrispondenza di desideri, complementari e sovrapponibili.

Sono due dita che si toccano, istintivamente. Due mani che si intrecciano nel tempo di un battito di ciglia.

E’ la primavera del calore del sole, quella dell’aria piena di fermento, quella dei sensi che si aprono, della rinascita.

Dei bisogni che mai saziano.

La primavera in cui offro la mia essenza, per poi riprenderla di nuovo arricchita. Nessuno me la toglie, ma la offro per mia volontà, perchè ho il potere di donarla e il potere di riaverla di nuovo.

In fondo, fra tutti i poteri, questo  è l’unico che mi interessi avere, gli altri li lascio a chi mi possiede.

Finisce la quiescenza del mio essere, da queste mani ad altre mani, la mia natura si palesa: offrirmi ed essere nutrita, nutrire con la mia offerta.

E’ il tempo scandito dal tintinnio di un cucchiaino che gira il caffè.

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Dulcis in fundo

Sono certa di erigere dei muri enormi.

Sono certa di avere delle asperità taglienti.

Sono certa di non essere facilmente avvicinabile.

Sono anni che costruisco barricate, armature, fortificazioni. Austera freddezza di sentimenti.

Sono certa di essere impegnativa.

Sono certa di essere difficile.

Un labirinto articolato: chi lo direbbe, eh? leggendomi quì, esposta .

Sono certa che la mia fragilità sembra un miraggio nel deserto.

E’ il duro lavoro, un mantra ripetuto per anni.

“Non esser debole, non lasciarti sopraffare, reagisci, non lasciar che ti facciano del male.”

Io che bramo Dominazione, esser vessata, usata, scalfita. Sono roccia pura.

” … se qualcuno ti percuote non dargli la soddisfazione di vedere che lo temi, testa alta e voce grossa (credo che mi venga anche bene) cerca di essere risoluta, fredda, razionale. Sii pignola, precisa. Pretendi molto, almeno quanto tu dai. Fatti furba, fatti valere. Imponi la tua idea. Fatti ascoltare…” mi pare di sentirla anche ora questa vocina nella mia testa.

Eppure…

Sono altrettanto sicura che esista il modo per cogliermi. Credo ci voglia pazienza e anche quella di avvicinarsi nella maniera appropriata, sicura, mai violenta. Come quando si ha a che fare con gli animali. E’ questione di fiuto, di sintonia, di lunghezze d’onda. Saper leggere. Forse è solo questione di fortuna. Non lo so.

Il coinvolgermi in un gesto, l’aspirarmi dentro ad un vortice di belle sensazioni, le intense conversazioni che parlano tanto più di quel che sono realmente le parole. Non lo so.

Esiste un varco, deve esserci assolutamente, dal quale, in lontananza, si può scorgere il nòcciolo della mia essenza, il lato vulnerabile di me. Un piccolo scrigno prezioso. Una nana bianca (sapete che vengono anche chiamate nane degeneri?degenere io? ), una stella di piccole dimensioni, con una bassissima luminosità eppure con una massa enorme, come quella del Sole. Un piccolo oggetto molto compatto, dotato di un’elevatissima densità e gravità superficiale. Ecco cosa c’è dentro di me. Una nana bianca.

Dovrebbero attaccarmi un cartello “maneggiare con cautela” .

Eppure questo scorcio se trattato a “modo” presumo possa essere fonte di piacere, e non solo per me, una volta toccato non c’è nulla che io possa fare per tenere lontano qualcuno.

E’ il mio tallone d’Achille. E’ il reattore nucleare che muove ogni mia energia.

Vedermi bruciante, eppure temerlo. Essere assorbita in un desiderio cocente, che svena il mio essere, che pompa il sangue ad una pressione mai vista. Eppure chiudersi a riccio.

Vorrei che ti presentassi Tu, con grimaldello in mano ( non so più dove ho messo la chiave) e, colto dalla voglia di avermi, sventrassi le impalcature della mia forza per impossessarti della mia debolezza.

Tratterrei il fiato fino a diventare blue per poi disciogliermi in una cascata, sfatta per la fatica d’aver retto tutto questo guscio.

Abbandonata alle onde di un abbraccio, certa di aver trovato chi, almeno per un po’, abbia voglia di guidare .

Complementare al mio bisogno.

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Assolutamente cosciente che abbia visto quel cuore dolce di me nascosto in fondo.


Bisogna avere un caos dentro di sè, per generare una stella danzante.

Danzo per Te questa notte, atto unico di perversa tragedia,

ballerina ai Tuoi occhi, per le Tue mani.

le mie labbra serrate dal morso, saliva che cola.

Dal seno al ventre,un fascio di nervi e muscoli guizzanti, sull’intima contrattura di un passo sincopato.

In attesa di essere presa senza alcun pudore, ritta sulle punte in un equilibrio pecario.

Dal fondo si levano brusii di stupore, incredibile ciò che si staglia sulla scena.

Danzo su un letto di rovi, incurante delle abrasioni.

Calpestandomi l’anima, rischio nuda nei miei sentimenti, scevra da compromessi, danzo per Te.

E’ un viaggio in quattro tempi su questo palcoscenico, non più goffa ma ricoperta da perle luccicanti.

E’ il mio spettacolo, ciò che hai orchestrato per me.

Pregna di inconfessati pensieri, persistenti desideri, incolpevoli turbamenti, ataviche pulsioni.

Salto, mi piego, flessibile, come Tu mi vuoi, burattino consapevole  e consenziente della tua coreografia, interpreto al meglio.

Racchiusa davanti a questa platea di una sola poltrona.

La testa che gira, la benda di leva.

La musica finisce, il sipario si chiude.

Applausi.

Nessuna replica prevista.

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Janis Joplin

I said you, you’re always gonna hurt me,
I said you’re always gonna let me down,
I said everywhere, every day, every day
And every way, every way.
Ah honey won’t you hold on to what’s gonna move.
I said it’s gonna disappear when you turn your back.
I said you know it ain’t gonna be there
When you wanna reach out and grab on.

                                                                                                           Janis Joplin – Kozmic Blues.

Ho chiuso gli occhi, mentre la musica va, morte delle pupille che accolgono il buio. Incondizionatamente Arresa.
Emozioni che nascono e scompaiono come meteore impazzite incendiate dalla mia atmosfera.  Attesa .
Graffio il tempo che scorre, freddo, impassibile al mio rifiuto.
Intrepide le mani afferrano le note e assaporano, io L’aspetto, bocconi ingordi di desìo.
Aprirò gli occhi, prima o poi, sazia di illusioni.

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Le parole degli altri.

Adesso che sei più vicino, lo senti mentre mi parla. Non ogni parola, non sei così vicino, ma abbastanza per capirci qualcosa. Poiché si tratta di parole eloquenti. Parole cattive. Brutte parole che ti portano a pensare che potresti dover intervenire da un momento all’altro se la cosa degenera. Troia. Puttana.  Mi guardi il viso, così vicino al suo, e vedi la furia divampare nei miei occhi. Non mi vedi parlare, perché non lo faccio. Mi mordo il labbro, come per reprimere l’impulso di reagire, ma resto in silenzio. La sua mano mi stringe ancora più forte i capelli, fremo ma resto comunque ferma, non esattamente passiva – percepisci lo sforzo che faccio per non muovermi, è tangibile – ma di certo controllata, mentre resisto all’assalto verbale. Poi una pausa. Sta aspettando una reazione. Ti avvicini. Se te lo chiedessero diresti che era per controllare che fosse tutto a posto, ma intimamente sai che si tratta di curiosità, pura e semplice. C’è qualcosa di selvaggio, primitivo nella nostra dinamica che ti attrae mentre al tempo stesso quasi ti ripugna. Quasi. Vuoi sapere come reagirò, cosa succederà dopo. C’è un che di oscuro eppure irresistibile in grado di rendere intrigante ciò che normalmente ti farebbe orrore. Mi guardi deglutire. Mi passo la lingua sul labbro inferiore per inumidirlo prima di parlare. Inizio una frase, abbasso la voce e i miei occhi guizzano in basso per spezzare il contatto visivo mentre sussurro la mia risposta. Non riesci a sentirmi. Ma puoi sentire lui. “Più forte.” Arrossisco. Ho gli occhi pieni di lacrime, ma non sai dire se si tratti di dolore o rabbia. La mia voce è più chiara, perfino forte nell’aria notturna. Il mio tono è di sfida, eppure il rossore sulle guance che mi arriva fino alla clavicola, visibile sotto alla mia giacca aperta, tradisce un imbarazzo che non riesco a nascondere.  “Sono una puttana. È tutta la sera che sono bagnata al pensiero di te che mi scopi e ti sarei molto grata se adesso potessimo andare a casa a farlo. Ti prego.” Il mio tono di sfida si spezza sull’ultima parola, che viene fuori come una flebile supplica. Mi fa scorrere oziosamente un dito lungo l’orlo della camicia – scollata abbastanza da lasciare intravedere il solco tra i seni, ma non esattamente da sgualdrina – e rabbrividisco. Inizia a parlare e il tono della sua voce fa sì che tu reprima l’impulso di fremere. “Sembrava quasi una supplica. Stai supplicando?” Mi vedi iniziare ad annuire, ma la mano che mi tiene per i capelli mi ferma bruscamente. Così deglutisco in fretta, chiudo gli occhi per un secondo e rispondo. “Sì.” Una pausa che si trasforma in un lungo silenzio. Un respiro che potrebbe quasi essere un leggero sospiro. “Signore.” Il suo dito sta ancora scorrendo lungo la curva dei miei seni mentre parla. “Direi che faresti di tutto in questo momento per poter venire. Lo faresti? Faresti tutto?” Resto in silenzio. La mia espressione è cauta, cosa che ti sorprende avendo in mente l’evidente disperazione nella mia voce. Ti chiedi cosa abbia incluso “tutto” in passato, cosa significherà adesso. “Ti metterai in ginocchio e mi succhierai l’uccello? Proprio qui?” Per un lungo momento nessuno di noi due parla. Mi toglie le mani dai capelli, si allontana un po’. Aspetta. Il rumore dello sportello di un’auto che sbatte in lontananza mi fa trasalire e mi sposto per guardare da una parte e dall’altra della strada. Ti vedo. Per un secondo stabiliamo un contatto visivo, i miei occhi si dilatano per lo choc e la vergogna prima di tornare a guardare lui. Sta sorridendo. Assolutamente immobile. Emetto un suono in fondo alla gola, mezzo uggiolio, mezza preghiera, e deglutisco con fatica indicando la strada con un vago gesto. “Adesso? Non preferiresti che…” Mi preme le dita contro le labbra che ancora si muovono. Sta sorridendo, quasi con indulgenza. Ma la sua voce è ferma. Perentoria, addirittura.  “Adesso.” Lancio un rapidissimo sguardo nella tua direzione. Tu non lo sai, ma nella mia testa sto giocando a una versione molto adulta di un gioco infantile: se non ti guardo direttamente, tu non sei lì ad assistere alla mia umiliazione, non puoi vederla perché io non vedo te. Gesticolo nervosamente nella tua direzione generale. “Ma è ancora piuttosto presto, c’è gente che cammina…” “Adesso.” Osservi pietrificato le emozioni contrastanti scorrermi sul viso. Imbarazzo. Disperazione. Rabbia. Rassegnazione. Più di una volta apro la bocca per parlare, ci ripenso e resto in silenzio. Per tutto il tempo lui si limita a rimanere lì. Mi guarda attentamente. Attentamente quanto te. Alla fine, con la faccia in fiamme, piego le ginocchia e cado sull’acciottolato bagnato davanti a lui. I capelli mi ricadono sul viso rendendo difficile dirlo, ma credi di poter vedere le lacrime brillare sulle mie guance alla luce del lampione. Per qualche secondo rimango in ginocchio lì, senza muovermi. Poi mi guardi fare un profondo respiro preparatorio. Raddrizzo le spalle, alzo lo sguardo e allungo le mani verso di lui. Ma mentre con le mani tremanti tocco la fibbia della sua cintura, mi ferma, dandomi un lieve buffetto sulla testa come si fa con un animaletto fedele. “Brava ragazza. So quanto è stato difficile. Adesso alzati e andiamo a casa a finire. Fa un po’ freddo per giocare fuori stasera.”  Con una mano sollecita mi aiuta a rialzarmi. Ti superiamo, camminando sottobraccio. Lui sorride. Annuisce. Prima che te ne renda conto e ti chieda che diavolo stai facendo, gli fai mezzo cenno. Io guardo deliberatamente a terra, tengo la testa bassa. Vedi bene che sto tremando. Ma quello che non puoi vedere è quanto mi abbia eccitata l’intera esperienza. Quanto siano duri i miei capezzoli nella costrizione del reggiseno. Quanto il mio tremore derivi dall’adrenalina per tutto quello che si è svolto davanti a te oltre che dal freddo e dall’umiliazione. Quanto mi entusiasmi. Quanto mi completi in un modo che non riesco del tutto a spiegare. Lo bramo. Lo desidero ardentemente. Non puoi vedere niente di tutto ciò. Tutto quello che vedi è una donna  tremante con le ginocchia sporche, che si allontana sulle gambe malferme.

tratto da “Diario di una sottomessa” Sophie Morgan

Questa è la sua storia, potrebbe essere la mia. Potenzialmente quella di chiunque.

Quando sono le parole a  mancarmi mi rifugio in qualcosa che mi da conforto, una sensazione d’assenza di solitudine. E’ il profumo della carta, il rumore che emette al voltar pagina. Ed in quelle parole, che potrebbero essere pronunciate dalle mie labbra. Perchè in lei vi sono anche io, così come, credo forse un po’ immodestamente , che nelle mie ci siano tante altre persone, che cercano quella stessa sensazione di familiarità.

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Ecco che, in questi giorni di festività, lascio ad altri  il parlare, leggere, ritrovarsi. Io, per ora, tiro un po’ più su la trapunta e alla luce fioca dell’ abat-jour lascio che sia qualcun’altro a parlare per me. A me.


Spesso i sogni si rivelano, senza alcuna maschera, come appagamenti di desideri.

Il tono della voce non cambia, sempre lo stesso.  Assertivo.

Intenso arriva alle mie orecchie come secchi colpi di bacchetta.

Lo sguardo è fisso nei miei, non cede. Irreprensibile.

Feroce corre nelle mie pupille come se dalla mia gola volesse estrarre anche l’ultimo sospiro.

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E’ una lezione quella che mi viene concessa, una vera lectio magistralis, dove non una parola riesce a proferire dalla mia bocca. Traballo sui tacchi vertiginosi, e non sono quelli a farmi tremare le gambe ma il timore mi attanaglia. Un ginocchio punta dritto fra le mie cosce e preme sul mio intimo fino a farmi gemere. Dolore e Piacere, Gioia e Umiliazione. Le mani legate, polsiere di cuoio che mi tengono i polsi uniti dietro la schiena.Sento il muro gelido dietro alla mia schiena. La mano che mi trattiene la gola strattona i lembi di un collare di cuoio senza chiuderlo, lo stringe e limita il mio respiro.Incita con veemenza le mie risposte. Per un attimo, solo uno, ho il forte desiderio che venga stretto ancora di più. Deglutisco con difficoltà. Annuisco ad una serie di domande mentre dal mio intimo sgorga nettarino la mia eccitazione fino a farmi bagnare la stoffa dei pantaloni di chi mi vessa.

“Cosa sei senza di me?Non ti vergogni?

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Sembrava tutto così vero.

Ma non lo è,  il mio subconscio che mi tormenta mostrandomi i miei desideri.

Me ne rendo conto solo quando apro gli occhi e mi trovo affogata nelle trapunte. Con il fiato ansante e il ventre dolente.