Come stelo mi piego e ti raggiungo, angelo nel tuo inferno, demone di un perverso paradiso.

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…Non bisogna accanirsi nel capire ma tentar di sentire, con abbandono…

Questo inverno è arrivato prima, è arrivato improvvisamente, senza che io abbia potuto fare nulla a riguardo.

Questo inverno sembrava non passare più; niente neve, niente pioggia,  niente mantello a coprire la terra per proteggerla dal freddo, solo ghiaccio, solo sonno.

Poi ha nevicato, piccoli fiocchi e tutto è divenuto bianco e pulito, l’aria si è raffrescata, malandrina entrava frizzante nei miei polmoni.

L’assoluto silenzio di qualunque rumore potessi avere attorno e dentro di me.

Questo inverno è stato lungo, il più lungo che io abbia mai avuto, doloroso e feroce, pieno di perchè, pieno d’insicurezze. Così sazio di sfiducia che è riuscito a farmi dubitare che potesse arrivare,  e volessi veder giungere,  una nuova stagione.

Eppure, nonostante questo, nel mio giardino da qualche giorno sono spuntati crochi gialli, impavidi, che si stagliano fieri e tenaci: sfidano il mio inverno.

Lo sconfiggono.

Sta arrivando la primavera, senza che io abbia premeditato nulla. Nella mia primavera ci credo fortemente e credo di meritarla.

La percepisco qui ed ora svegliarmi da questo letargo invernale, dal sonno più  profondo.

Gli occhi che, dalla tenebra del loro serrarsi, si aprono e ne cercano un altro paio. Un sorriso che si allarga, un guancia che prende colore, un labbro serrato fra i denti. Un’ inquietudine di sensi che volano sulle montagne russe, milioni di parole, di cui molte non dette ma tutte recepite.

Non é primavera, non lo é ancora del tutto, ma è la sua primavera che m’invade, mi travolge e m’avvolge. E’ una corrispondenza di desideri, complementari e sovrapponibili.

Sono due dita che si toccano, istintivamente. Due mani che si intrecciano nel tempo di un battito di ciglia.

E’ la primavera del calore del sole, quella dell’aria piena di fermento, quella dei sensi che si aprono, della rinascita.

Dei bisogni che mai saziano.

La primavera in cui offro la mia essenza, per poi riprenderla di nuovo arricchita. Nessuno me la toglie, ma la offro per mia volontà, perchè ho il potere di donarla e il potere di riaverla di nuovo.

In fondo, fra tutti i poteri, questo  è l’unico che mi interessi avere, gli altri li lascio a chi mi possiede.

Finisce la quiescenza del mio essere, da queste mani ad altre mani, la mia natura si palesa: offrirmi ed essere nutrita, nutrire con la mia offerta.

E’ il tempo scandito dal tintinnio di un cucchiaino che gira il caffè.

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