Come stelo mi piego e ti raggiungo, angelo nel tuo inferno, demone di un perverso paradiso.

collare

Segni: Sussurri dello spirito

Ogni tipo di segno, che sia dato da da parole o cinghie poco importa, è una crescita personale. Si possono portare con orgoglio o sentirsene mortificati , personalmente vivo ogni cicatrice con trasporto e consapevolezza e di questo ne sono grata. 

I segni sono “armi” potenti: ma niente s’incide, nel corpo e nella mente, con forza maggiore che il sentire profondo che li accompagna.

  


La fantasia è un posto dove ci piove dentro.

L’odore che impregna le mie narici è inconfondibile. Ha la fragranza dell’attesa incalzante. E’ l’umido che sta per arrivare. La pioggia imminente che invade i sensi. Avvolge l’aria e mi si attacca alla pelle ancor prima che faccia un passo oltre al posto coperto in cui ci troviamo.

Seguendo le  sue direttive mi sento vibrare. Non vedo, il buio della benda che si stringe attorno al mio viso crea in me un formicolare di percezioni, cerco di cogliere tutti i segnali che mi circondano, ma il leggero fruscio della pioggia che ha cominciato a scendere confonde tutto in un tamburellio.

Umido fragrante profumo di pioggia sulla terra.

La prima goccia che cade sulla mia pelle sembra placare lo scorrere del tempo, la seconda è un deflagare di stelle nel mio ventre.

Sono i pensieri liberi e sinceri di chi si affida e non ha paura.

E’ aria leggera e fresca come può essere solo quella estiva sotto la pioggia.

La mia pelle s’increspa violentemente, e non so se è per il vento leggero, le goccie che mi colpiscono o la mano che si posa al fondo della mia schiena.

Un passo oltre nell’oscurità, guidata da quella mano.

Quel contatto riesce a farmi desiderare che possa durare in eterno, mi ci aggrappo con il pensiero, sperando che non finisca mai, mi sento così vulnerabile.

Respiro a bocca aperta senza accorgermente, respiro di chi sembra a corto d’ossigeno, dispnea emotiva.

Sotto i piedi nudi sento la pietra bagnata, vi cammino con leggeri tentennamenti, come se camminassi su un pavimento di vetro. Solo per alcuni attimi vorrei vedere dove mi trovo, godermi quello che mi è stato descritto come un posto magico.

Fermi ad ascoltare la pioggia, godendosi il battito del cuore e del sangue che circola impetuoso nelle vene.

Potrei acconsentire ad ogni sua richiesta.

Le Sue mani,morbidamente si spostano sulle mie spalle e con gesti delicati e sensuali mi spogliano, allarga l’abbottonatura del vestito fino a denudare le spalle e la schiena, bramava la mia pelle, la mia eccitazione potrebbe raggiungere il culmine anche solo per come mi tocca. Alza la gonna fino a scoprire le mie terga avvolte nel cotone leggero degli slip bianchi. Una carezza morbida fino a riempirsi i palmi con i miei glutei prima di infilare le dita nell’elastino e farle scendere fino a sopra le ginocchia.

“In posizione, signorina”

Un ordine appena sussurrato alle mie orecchie, con voce appena arrochita del trasporto delle sensazioni.

Mi desto dai pensieri che a prescindere da ogni mio possibile controllo mi avevano trasportata in un limbo fatto solo di lui.

Il senso di abbandono è meraviglioso quando avviene verso chi potrebbe avere il tuo cuore pulsante in mano senza ricevere alcuna remora.

Le mani alla nuca, le dita intrecciate fra di loro come a creare un nodo impossibile da sciogliersi. Piedi appena distanziati.

Ecco come mi vuole, ecco come mi ha.

Vulnerabile, esposta, in sua totale balia.

Senza avere il tempo di respirare mi tocca con il mio carnefice, sfiora la pelle senza nessun avviso. Non ho problemi ad identificare il lungo bastone flessibile. Un ramo pulito dalla sua corteccia, leggero e senza nodi.

Me lo aveva preannunciato.

“Voglio frustarti sotto la pioggia” mi aveva detto qualche tempo prima “voglio farlo all’aria aperta, dove possiamo essere solo noi e la natura che ci circonda, dove puoi urlare senza che nessuno possa accorrere. Noi soli con il tuo dolore.”

O Forse l’ho chiesto io? Non ha alcuna importanza ora. L’adrenalina mi sta facendo impazzire, non so se e quando partirà il primo colpo, ma arriverà e io sentirò dolore, molto dolore.

Per Lui e per me.

Ansimo leggera sotto le sue carezze che si confondono con le gocce che colpiscono la mia pelle facendomi appena sussultare. Tocco reso ancora più ruvido dalla pelle bagnata. Tocco reso più eccitante sapendo che è solo il prologo.

La mia schiena si erge dritta e ferma, quasi insolente ai suoi occhi, brama nel farmela flettere sotto i suoi colpi

E poi arriva.

Il primo, duro e secco.

Il suo colpo.

Serro tanto i denti che credo andranno in mille pezzi. Traballo ma non emetto suono. Mi godo quel sordo bruciore che mi fa fischiare appena le orecchie. Come se, dopo quel colpo, volessi dimostrargli tutta la mia forza e devozione.

Ogni colpo successivo smembra la mia sicurezza e mi scioglie la lingua e la voce.

Mi fa gridare. Mi accarezza  e mi consola. Torna ad infierire fino a farmi piangere, fino a confondere le mie lacrime con la pioggia che bagna il mio corpo.

La mia eccitazione ha varcato la soglia dell’indecenza. La mia linfa scorre da ogni poro della mia pelle.  Le strisce rosse fuoco disegnano una trama fitta da sotto le spalle a sopra le ginocchia.

Ogni colpo mi ha lacerato l’anima. Ogni colpo mi ha fatto desiderare di appartenergli ancora di più.

Dolore e delizia.

Dolore e piacere.

Sua, almeno in questa mia strana fantasia, durante questo temporale.

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E piove su le tue ciglia,
Ermione.
Piove su le tue ciglia nere
sì che par tu pianga
ma di piacere.
(Gabriele D’annunzio)


L’arma più potente a scacchi è quella di avere la prossima mossa.

*click* 
Il rumore metallico del lucchetto che si chiude è una stilettata. 

Non dovrei avere quest’ansia, ma l’adrenalina è una scarica elettrica che non conosce indulgenza. 

Estrofletto la lingua. Dopo sua esplicita richiesta. 

Forse un modo per farmi stare zitta l’ha trovato. 

Fisso gli occhi scuri che non si distraggono dalla mia bocca.  Posso toccare quasi realmente i suoi pensieri che mi avvolgono.  

È così concentrato che mi lascia con il fiato sospeso, quasi a non volerlo disturbare nemmeno con esso.

La chiave del lucchetto penzola ritmicamente a toccare la punta della mia lingua.

Respiro rumorosamente  e, metabolizzando l’emozione, vivo nella carne un gioco di nervi e tacita esplorazione. 

Pura osservazione. 

Il mio sguardo saltella fra chiave e il suo viso. Incessantemente.

Ho la netta sensazione di vivere una partita a scacchi. 

Un re, una regina e lo scintillio di quella chiave alla luce del lampione. Una spada brandita per infliggere all’orgoglio una ferita dolce e ambita.

Si può vincere davvero questa competizione? O la vittoria e la sconfitta perfettamente collimabili?

La chiave si appoggia sulla lingua. 

” se la ingoi ti toccherà cercarti una tenaglia. ” 

Lapidario, estremo e feroce. 

In un battito di ciglia mi immagino, una volta tornata a casa, a rovistare fra gli attrezzi in garage in cerca di qualcosa che violasse l’acciaio di quella catena stretta al mio collo. 

Solo la respirazione dalle narici permette di non iperventilare e nel mentre la saliva riempie la bocca. 

Carica d’orgoglio non cedo passo all’incessante trascorrere del tempo. Secondi? Minuti? 

L’unico tradimento alla mia fermezza e il gocciolio incessante del mio intimo. Cosa che lui può solo intuire. Se potesse ascoltare le voglie che urlano dentro di me saprebbe che farei di un sol boccone quella chiave e mi abbandonerei completamente alla vita in catene. 

Un sorriso s’increspa attorno a quel pensiero  improvviso. Se n’è accorto. Forte della sua posizione non attende oltre e le sue mani mi accarezzano i capelli in maniera rude e scendono senza remore sulla nuca e sul collo. 

Tintinna il metallo facendomi espirare forte.

È uno scacco, quello che subisco.  Dita forti che mi fanno chiudere la bocca racchiudendo in me la piccola chiave. 

Conservo l’unica via verso la libertà e non sono più certa di volerla sputare. 

I Suoi fianchi a tenermi le cosce larghe mi fanno capire che non sono l’unica ad amare quel gioco di strategia. 

Forse ho recuperato posizioni mangiando la sua torre.

Le sue dita si insinuano nella bocca chiusa e cercano la loro proprietà esattamente come si farebbe in una tasca. La sua tasca.  

Le succhio di mia iniziativa una volta afferrato l’oggetto del loro desiderio. 

Incontrollata, incessabile  e incandescente.

So che per qualche attimo l’uomo prima del dominante si è sentito vacillare.

Singulto di femmina accalorata che richiama il suo complementare.

È il mio strenuo tentativo di riaffermare le posizioni sulla scacchiera.
Si allontana e rimette la chiave in tasca. 

“Se giochi bene le tue mosse, forse ti libero”

Vorrei giocare ancora. E ancora ed ancora.

Anche ora.

  


Un’idea che non sia pericolosa non merita affatto di essere chiamata idea.

Ci sono rischi che valgono la pena di essere vissuti, assunzioni di responsabilità e consapevolezza. 

Ci sono occasioni che, una volta perdute, continuerai a ritrovarti fra i pensieri per il resto dei tuoi giorni accompagnate da un sapore amaro infondo all’animo. 

Ci sono occhi che riescono a parlare in maniera così eloquente che non hai bisogno di nessuna traduzione. 
Ci sono labbra che passi a fissare per ore senza riuscire a celare il turbamento che esse ti provocano. 
Soprattutto se condite di sarcasmo. 

Io quel rischio, quelle occasioni, quegli occhi e quelle labbra le conosco bene. 

Fanno parte di me. 

Sono io.

Sono acceso desiderio, che si trova immutato agli eventi. Sguardo ardente su vestito nero. 

Mi ritrovo ad essere predatrice e preda. 

Un morbido scontro tra animi aguzzi. Momenti di intesa, perversa ma dolce. 

E ci si ritrova sospinti dove esita la carne; forgiando e imbrigliando i sospiri. 

È vita vera quella che ingurgito insaziabile. 

Catena di ferro stretta nel collo. Posseggo l’intero universo in un battito di ciglia. L’ho percepito nettamente nell’impeto del battito del mio cuore.

Adrenalina concentrata che si scioglie nel flusso del mio sangue. 

Sadicamente Masochista. Una terra inesplorata. 

Sentirmi femmina stuzzicante. Non esiste ubbidienza, netiquette, o definizioni appropriate. 

Instillatrice di voglie e desideri. 

Potenti.  Pericolosi. 

Proprio come me.

  


Chi comincia ad amare, deve essere pronto a soffrire.

Non vi è l’Amore nel mio modo di sottomettermi, ma ogni volta che accade è un atto d’amore.

“Amor – come parola essenziale
dia inizio alla canzone e la sostanzi.
Amor guidi il mio verso e, nel guidarlo,
unisca anima e sesso, membro e vulva.

Chi osa dir di lui che é solo anima?
Chi non sente nel corpo l’anima espandersi
fino a sbocciare in un vivido grido
d’orgasmo, in un istante d’infinito?

Il corpo avvinghiato a un altro corpo,
fuso, dissolto, torna all’origine
degli esseri, che Platone vide completi:
é uno, in due perfetto: due in uno.

……

Allora si instaura la pace. Pace di dei,
adagiati sul letto, come statue
vestite di sudore, grate per quanto
ad un dio aggiunge l’amor terreno.”

Versi tratti da “AMOR – COME PAROLA ESSENZIALE di Carlos Dummond de Andrade”

Vorrei fare una premessa, tutti ne staranno già parlando, tutti ne parleranno per mesi. Puristi,vanilla, neofiti, curiosi, viziosi, gente alla ricerca di qualcuno che soddisfi “facilmente” le loro fantasie: insomma sono certa che non ci sarà qualcuno al mondo che non avrà o abbia già la propria opinione a riguardo.

Non è un caso che il marketing abbia portato a far uscire un film kinky  proprio nei giorni di San Valentino, per quanto possa piacere o meno, il sesso vende, se poi è  un romanzetto rosa  condito di spunti pruriginosi, sono convinta che riempirà le sale cinematografiche fino a pasqua. Sarà sdoganamento di ciò che vivo in maniera più o meno consapevoleda quasi 15 anni. Libri, film,e negozi si arricchiranno di spunti fetish e giocattoli per adulti.Tutti coloro che potranno ne faranno business, qualcuno ne approfitterà per cercarsi una scopata. Già l’altro giorno in libreria mi è capitata in mano per mera curiosità un libro che all’interno conteneva un vibratore.

Non mi piace far polemica gratuita e non è neanche mia intenzione farne, sono sempre stata convinta che alla fine le persone all’interno della loro  intimità debbano aver la liberà di viverla come meglio credono almeno finchè tutti i partecipanti sono maggiorenni e consensuali. Se poi è bdsm o meno chissenefrega!

Se parlarne e sdoganando sarà il modo per aiutare a qualcuno a capire chi meglio è ben venga, l’unica cosa che in cuor mio posso fare  è avvertire. Oggi come da quando ho aperto questo blog ho sostenuto che queste pratiche e tutto il bdsm hanno dei rischi, prima di fare bisogna studiare, capire, informarsi. I mezzi esistono, l’ignoranza non può e non deve essere una scusa.

Fatta questa  premessa vorrei tornare a ciò che frulla fra le dita e mi porta a scrivere oggi

Amo profondamente e con tutta me stessa ciò che sono e questo amore lo riverso completamente donandomi a chi mi domina. Nel giorno di San Valentino, quando tutti staranno approfittando per ricordare quanto Amore hanno nella loro vita, io voglio guardare alla mia essenza con lo stesso sguardo. Uno sguardo d’amore.

Dopo il mio anno sabbatico mi rendo conto che le mie fantasie, i miei bisogni, le mie pulsioni urlano tutto il loro vigore.

Sono piena di languidi pensieri, e inconfessabili voglie. Il desiderio di offrire la mia essenza e vederla arricchita mi alza tutte le mattine e mi accompagna scivolando nel sonno la sera.

Sono  arrivata a pensare che una strada di sottomissione che contenga dolore  non mi dispiacerebbe affatto. Sì, è tutto da esplorare il mio masochismo, nella mia vita da sottomessa è stato solo assaggiato questo aspetto, e, ad oggi, credo di aver raggiunto un punto del mio percorso dove vorrei capire di più di me e di cosa mi scatena la sofferenza.

Ora probabilmente qualcuno avrà spalancato gli occhi quasi inorridito pensando a come si possa vivere tutto questo tempo nel bdsm senza aver mai capito fino a che punto si è Sadici o Masochisti. Ho semplicemente vissuto altro, chi mi ha accompagnato in questo percorso non ha mai voluto portarmi pienamente su quel terreno, e io non ho mai condiviso il desiderio di esplorarlo.

Ho sempre considerato la possibilità di ricevere dolore unicamente come margine di potere che concedevo a chi mi possedeva. Il dolore che ho subito mi dava piacere in quanto mi dava il metro della mia devozione. Ma voglio scoprire cosa c’è oltre.

Vorrei arrivare a comprendere esattamente quanto mi piaccia sentire il mio corpo esausto per gli usi che si è voluto farne, essere costretta e immobilizzata nell’attesa di venir colpita.

La pelle profanata in una trama di disciplina e punizioni, divenir gioco perverso per  assecondare le manie viziose.

Sentire la mia voce arrochita fino a giungere allo stremo delle forze.

Trovarmi in faccia ai miei limiti e prenderne completa visione.

Vorrei guardare nel profondo due occhi,, ardenti come braci con i miei riempiti di lacrime salate, ma mai con retrogusto tanto dolce.

Io sono pronta a soffrire, io sono pronta ad amare.

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Buon San Valentino a tutti.


Ogni limite ha una pazienza.

“Fermarsi
al filo dell’abisso
e comprendere
che lo spirito
attende nel limite.
Solitudine vedetta.”

Pablo Gozalves

Se c’è una cosa innegabile del mio essere sottomessa è che sono brava ad attendere.

Credo di aver passato più tempo ad attendere che poi a godermi il frutto della mia pazienza.

E dicendolo non c’è rimorso o recriminazione, ma una presa di coscienza.

Dicono che questa capacità sia una virtù dei forti, ed io che di vizi e virtù ho scritto fiumi di parole mi ritrovo a chiedermi quanto questa mia capacità d’attesa sia realmente una virtù o  invece divenga vizio che non so come scollarmi.

Sì perchè vuoi mica che una sottomessa sia impaziente, che non sappia qual’è il suo posto  e forzi decisioni o situazioni.

Chi vuole una sottomessa tarantolata che non è capace a rimanere lì immobile con sguardo speranzoso, disciplinata e in religiosa contemplazione della chiamata del proprio Dominante?

Qual’è il limite della pazienza? io questo limite ce l’ho?

Qual’è quella sottile linea di confine oltrepassata la quale si diventa “fessi”?

Si forse troppe domande tutte assieme non aiutano, ed io in questi giorni me ne sto facendo parecchie. Sono riflessiva, contemplativa, ponderante, paziente e comprensiva. Si va bene ma ho un limite in questo? La mia razionalità  si romperà prima o poi facendomi perdere le staffe e sbarellare un po’ a ruota libera?

Ecco ancora domande.

Deve essere catartico ad un certo punto alzarsi dalla posizione disciplinata in cui sono ancora adesso nonostante il mio collo più che libero e urlare al mondo  ” BASTA! MI SONO ROTTA! “.

Ed invece, evidentemente, non ne sono capace oppure non ho trovato ancora quel limite e quindi mi ritrovo a comprendere le ragioni di tutti e tutte le situazioni.

Sono una silente vedetta che saluta con un cenno del capo chi lancia una pietra nel mio abisso per testare se e quanto profonda sia la mia pazienza. Io non sono ancora riuscita a sentire un suono da quelle pietre.

Ogni volta però qualcosa nella mia pancia, di emotivamente forte,  si contorce  e regala attimi di fitte dolorose. Accade quasi sempre quando entro nel dormiveglia e i pensieri turbinano attorno alla mia testa  confondendomi e assuefacendomi a quell’attesa.

Non sono sicura che la mia sia follia o illusione, autoaddomesticamento o eccesso di raziocinio. Ogni tanto vorrei saperlo sputare il rospo piuttosto che ingoiarlo sempre tutto. Vorrei che la mia bocca sapesse perdere il pudore e dire ciò che freme sotto pelle, che affama il mio essere schiava.

“Non voglio essere sacra e inviolabile, non sono Beatrice.

Non voglio neppure fare e disfare la tela in attesa di un ipotetico Ulisse, non sono Penelope.”

E detto questo vorrei subito chiarire che non è una dichiarazione d’intenti, io non comincerò a saltellare da una situazione all’altra senza soluzioni di continuità, non cerco bdsm fatto in maniera occasionale e non cerco neppure una lista di pretentendi ma semplicemente vorrei sentire nuovamente viva e appagata il mia anima schiava, che sarà pur avvezza all’attesa ma non è morta.

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– Ma se tu mi addomestichi, la mia vita sarà illuminata. Conoscerò un rumore di passi che sarà diverso da tutti gli altri. Gli altri passi mi fanno nascondere sotto terra. Il tuo, mi farà uscire dalla tana, come una musica. E poi, guarda! Vedi, laggiù in fondo, dei campi di grano? Io non mangio il pane e il grano, per me è inutile. I campi di grano non mi ricordano nulla. E questo è triste! Ma tu hai dei capelli color dell’oro. Allora sarà meraviglioso quando mi avrai addomesticato. Il grano, che è dorato, mi farà pensare a te. E amerò il rumore del vento nel grano… ”
La volpe tacque e guardò a lungo il piccolo principe:
“Per favore… addomesticami”, disse.
“Volentieri”, disse il piccolo principe, “ma non ho molto tempo, però. Ho da scoprire degli amici, e da conoscere molte cose”.
“Non ci conoscono che le cose che si addomesticano”, disse la volpe. “Gli uomini non hanno più tempo per conoscere nulla. Comprano dai mercanti le cose già fatte. Ma siccome non esistono mercanti di amici, gli uomini non hanno più amici. Se tu vuoi un amico addomesticami!”
“Che cosa bisogna fare?” domandò il piccolo principe.
“Bisogna essere molto pazienti”, rispose la volpe. “In principio tu ti siederai un po’ lontano da me, così, nell’erba. Io ti guarderò con la coda dell’occhio e tu non dirai nulla. Le parole sono una fonte di malintesi. Ma ogni giorno tu potrai sederti un po’ più vicino… ”
Il piccolo principe ritornò l’indomani.
“Sarebbe stato meglio ritornare alla stessa ora”, disse la volpe.
“Se tu vieni, per esempio, tutti i pomeriggi alle quattro,dalle tre io comincerò ad essere felice. Col passare dell’ora aumenterà la mia felicità. Quando saranno le quattro, incomincerò ad agitarmi e ad inquietarmi; scoprirò il prezzo della felicità! Ma se tu vieni non si sa quando, io non saprò mai a che ora prepararmi il cuore. Ci vogliono i riti”. –


Il tempo di cui disponiamo ogni giorno è elastico: le passioni che proviamo lo dilatano, quelle che ispiriamo lo restringono, e l’abitudine lo riempie.

Mi manca il tempo e simultaneamente ne ho in abbondanza. Antitesi di vita.

Con la calma della ragione mi rendo conto che più di ciò che è stato fatto non poteva essere svolto.

Ma ho fame di occasioni, anche di quelle passate per un soffio e inevitabilmente archiviate.

Questo tempo è passato, un anno volato in fretta qui nel blog e nel mio D/s , mi sono distratta per qualche attimo ed eccomi qui a chiedermi come ha fatto a scappare via.

Si sente  dire spesso ” se tornassi indietro…”  ma non è questo il  caso, tutto ciò che ho vissuto è stato con il dono totale di me stessa; senza rimpianti mi lascio alle spalle un periodo molto difficile ma denso di emozioni fra le più contrapposte, e mi rendo conto di dover confessare che, in quegli attimi, l’essere schiava e l’appartenenza, hanno fatto perno nel turbinio quotidiano evitando che  mi disperdessi.

Conosco  tutte le mie fragilità a menadito ma ciò che quest’anno mi ha insegnato, più di ogni altra cosa, è quanto in realtà io sia forte: nonostante il vento contrario, io non abbia smesso di camminare ferma sulle mie gambe, orgogliosa e fiera di chi sono, consapevole che abbandonarmi nelle mani di chi mi possiede mi regala il vigore necessario per affrontare ogni situazione.

E’ una sensazione meravigliosa.

Pensando a chi ero un anno fa mi rivedo disillusa e amareggiata, con la piena consapevolezza che avevo mancato un’occasione, non per mia volontà, senza dubbio speciale. Ero guardinga e assolutamente dubbiosa di voler e poter vivere ancora il dono della mia sottomissione. Ero nel pieno dell’ inverno e aspettavo che tornasse la primavera.

L’incontro con colui che è il mio Padrone è stata una scommessa, soprattutto da parte mia, raccolta e coltivata. Con il senno di poi la scelta è stata quella giusta.

Oggi, dodici mesi dopo, continuo a scegliere la stessa via con la voglia di perdermici dentro, è la Sua primavera, la nostra, che quotidianamente m’invade, mi travolge e m’avvolge. Sono piena di desideri che si intrecciano e di voglie che bramano di essere saziate.

Ho bisogno di vivere questo tempo mescolando la perversione che ci accompagna ed i miei occhi sono ben aperti  e consapevoli che questo tempo necessita di ritmo, quello dei nostri desideri.

Stanno fiorendo le pratoline sotto il noce ancora spoglio e, con esse, sono germogliati nuovamente i sensi in una miriade di fremiti indistinti. Vorrei poter festeggiare questo anno e inaugurare pienamente il prossimo. Suggellare in piena sintonia fra corpo e mente il patto che mi lega a Lui,  consapevolmente irrazionale.

Quindi non mi resta che ringraziare chi si è preso cura di me, concedendomi  stare al suo fianco.

La mia è una promessa: Terrò stretto a me ciò che è buono, anche se sarà solamente un pugno di terra; terrò sempre con me ciò in cui credo, anche se sarà solo un pensiero fugace; non mancherò di compiere ciò che devo  anche se la distanza sarà maggiore di quella che avrei voluto e non abbandonerò  mai  la via che mi è stata indicata anche se a volte è più facile lasciarsi andare. Ed infine, ma non meno importante, terrò stretta la Tua mano anche quando sarai più lontano da me, fintanto che non mi ordinerai di lasciarla.

E’ un onore nonchè un piacere viaggiare con te, Padrone.

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“E un astronomo disse: Maestro Parlaci del Tempo.
E lui rispose:
Vorreste misurare il tempo, l’incommensurabile e l’immenso.
Vorreste regolare il vostro comportamento e dirigere il corso del vostro spirito secondo le ore e le stagioni.
Del tempo vorreste fare un fiume per sostate presso la sua riva e
vederlo fluire.

Ma l’eterno che è in voi sa che la vita è senza tempo
E sa che l’oggi non è che il ricordo di ieri, e il domani il sogno di oggi.
E ciò che in voi è canto e contemplazione dimora quieto entro i confini di quel primo attimo in cui le stelle furono disseminate nello spazio.
Chi di voi non sente che la sua forza d’amore è sconfinata?
E chi non sente che questo autentico amore, benché sconfinato, è racchiuso nel centro del proprio essere, e non passa da pensiero d’amore a pensiero d’amore, né da atto d’amore ad atto d’amore?
E non è forse il tempo, così come l’amore, indiviso e immoto?

Ma se col pensiero volete misurare il tempo in stagioni, fate che ogni stagione racchiuda tutte le altre,
E che il presente abbracci il passato con il ricordo, e il futuro con l’attesa.”

Kahlil Gibran


Possiamo avere tutti i mezzi di comunicazione del mondo, ma niente, assolutamente niente, sostituisce lo sguardo dell’essere umano.

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Ci sono momenti in cui mi ritrovo silente, in tacita contemplazione, osservante due occhi che rimandano ai miei.

La proverbiale quiete dopo la tempesta.

E’ un viaggio quello che percorro  all’interno di quello sguardo,  esploro con attenzione e cautamente incappando nelle spiegazioni a emozioni che difficilmente riescono ad essere espresse in maniera più rumorosa.

Inoltrandomi in esso ho conosciuto fra le più diverse sensazioni, in quegl’attimi di silenzio ho sempre potuto specchiarmi  e trovarmi consapevole di chi ero, cosa provocavo e dove stavo andando. Sarà forse presuntuoso da parte mia ma sono convinta di avere un dono: so leggere in quegli sguardi, so vedere ( quasi sempre) l’animo delle persone. Quel che ho  visto in questi anni non sempre è stato piacevole, in talune occasioni è stato straziante ma certamente quando incontro due occhi che mi guardano come è accaduto qualche giorno fa, ebbene, io mi sento esplodere una supernova nel cuore.

Ho provato la netta sensazione di risplendere accecante nel buio dell’universo. Un lampo ha percorso la mia cute. Non ho saputo resisere al dischiudere la bocca  e parlare.

“Stai facendo il pieno di me?”

Non v’è seguita nessuna risposta reale.

I Suoi occhi trasmettevano una forza indescrivibile, mi guardavano così intensamente che sembravano volessero  racchiudermi in una bolla di cristallo. Come se così io potessi essere maggiormente Sua.

Certo per arrivare a quel modo di guardarmi e al mio sentire  non basta l’improvvisazione. Sono troppo razionale perchè possa capitare con un perfetto sconosciuto.

In un percorso come quello che sto intraprendendo è certo che la comunicazione fra schiava e Padrone ( e viceversa) prende strade sempre nuove e sorprendenti.

Sono consapevole di ritrovarmi famelica, quando capitano attimi come quello che ho vissuto. Particolarmente eccitata. Ogni cosa mi si potrebbe chiedere e si vedrebbe il mio capo annuire obbediente e la mia voce emozionata sussurrare “Sì, Padrone.”

Ecco, nell’incontro di qualche giorno fa, la situazione era questa  ma non mi si è chiesto nulla, sono rimasta a bollire delle mie voglie e della mia sottomissione. Languida e femmina in ogni singola fibra del mio essere. La cosa meravigliosa in tutto questo è che io non mi sia sentita frustrata.

Vorrei riuscire a spiegarmi meglio: Capita che nel bisogno e nella voglia di essere “demolita”  la possibilità che questo non avvenga crei in me, e in un sottomesso in generale, una sorta di fregola che nel momento in cui non trova un riscontro può creare un groppo nello stomaco. In questo caso tutto ciò non è avvenuto ma ho sentito in me la netta sensazione di godere di quanto io sia piacevolmente sottomessa, disponibile ed aperta ad ogni sua voglia. Anche in quella di non far null’altro che guardarmi, accarezzandomi, e godendosi la sua schiava in maniera amorevole.

Sono certa che i puristi del BDSM  storceranno in naso vedendo in un ipotetico incontro la mera necessità di dar sfogo agli istinti più crudi del rapporto. E non nego che la passione non è certo mancata fra noi durante questo pomeriggio. Ma io sono felice di ciò che ho vissuto e di quanto sto vivendo. Ho in me, chiara, la consapevolezza  che non voglio vivere di scatti ma preferisco correre una maratona, fatta anche di momenti come questi. Delicati ed emotivi.

Sento il bisogno di condire il mio essere schiava con attimi in cui il sentire diviene più intimista. E’ una sensazione inesplorata, senza dubbio. Questo me lo sta insegnando colui che mi possiede. La capacità del saper assaporare e apprezzare anche le note più lievi. Ed io mi lascio guidare anche in questo.

Apprendo ogni giorno la piacevolezza dei sentori più delicati.

Se questo sia o meno un traguardo, un limite raggiunto e superato, lo lascio a voi giudicare. Sinceramente non reputo importante spingersi sempre un passo oltre ai propri limiti. Ma la qualità di quel passo quello sì.

E’, per me, vita pura!

Vedere il mondo, in tutta la sua meraviglia aspirando all’impercettibile infinito. Cose pericolose da raggiungere, perché non serve vivere se non si tenta di superare se stessi sempre un po’ di più. Trovarsi l’un l’altro, e sentirsi, sentire semplicemente il proprio cuore battere come mai aveva fatto. Vedere il mondo, cose pericolose da raggiungere, trovarsi l’un l’altro, e sentirsi.

” I sogni segreti di Walter Mitty.”


Estetica della forma o formalismo?

Domanda a cui in realtà non mi interessa realmente dare una risposta.

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Mi è stato fatto un regalo.

Un  presente  natalizio in largo anticipo, assolutamente inaspettato,  che è riuscito a lasciarmi  senza parole. Il ché ha dell’incredibile, un  miracolo in pieno avvento.

Conoscevo l’esistenza  di ciò che mi è stato donato ma, onestamente parlando, mai mi sarei aspettata che una persona avrebbe anche solo pensato di farmici finire dentro. Si tratta di formalismi, di ufficialità che non mi hanno mai toccato davvero fino ad ora.  Io stessa non vi ho mai dato peso, ho sempre considerato più importante l’essenza della mia natura piuttosto che l’etichetta. Coloro che mi hanno affiancata in questo percorso sono sempre stati consci di come concepivo i rapporti e come me vivevano  il tutto in maniera più intima.

Partendo da queste mie esperienze è senza dubbio fuori discussione che colui che oggi mi guida, abbia l’innata capacità di stupirmi. Di cogliermi impreparata a dire qualsiasi cosa.

La mia devozione è stata premiata in un modo inconsueto. Un riconoscimento che ha del singolare.

Lo adoro davvero, perchè ho capito cosa l’ha mosso. Un gesto che vuole bilanciare premiando tutta l’attenzione che pongo verso di lui, la concentrazione dei miei desideri; in poche parole la mia schiavitù.

In Histoire d’O  la protagonista  viene portata dal suo Signore  in una casa  dove mettono anelli forgiati per l’occorrenza alle labbra vaginali e incidono a fuoco il monogramma del proprietario sulle terga della schiava.  Ecco! il mio regalo è sicuramente meno incisivo sulla  mia pelle ma assume ai miei occhi e nel mio spirtito il medesimo valore.

“I segni impressi, col ferro rovente, alti tre dita e larghi la metà, erano scavati nella carne e profondi circa un centimetro. Bastava sfiorarli e si percepivano sotto le dita.
Di questi ferri e di questi marchi, O provava un orgoglio insensato.”


No, non sono stata tatuata, marchiata o sforacchiata. Ci terrei a sottolinearlo. Ma sono comunque fiera. La mia sottomissione è riconosciuta  formalmente dal mio dominante ed è  anche motivo di suo orgoglio. Non mi sono mai servite vetrine
per rendermene conto, non ne sono mai servite anche a Lui. In questo caso, però, il vestito indossato per le feste da questa relazione mi entusiasma, mi strappa un sorriso timido ed un rossore acceso sulle guance. Immagino che qualcuno possa rimanere oscenato dalla scelta, addirittura disgustato dalla presa di coscienza dell’esistenza di qualcosa di simile, altri invece sono certa che esclameranno a gran voce  “embhè, che cavolata! ” .

In tutto questo io rimango convinta che il valore reale di ciò che viviamo, e crediamo, siamo noi stéssi a sancirlo. Cìò che per alcuni varrà nulla, per me ha un valore enorme. Un regalo preziosissimo che si “ruba” una mia nuova verginità. Che, tra l’altro, neanche mi ricordavo di avere.

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Ringrazio, emozionata, per questo dono: un piccolo tesoro che vive dentro di me, su di me, impressionato come quel marchio.

“… ed era vero che lei avrebbe dovuto accettare,acconsentire nel vero senso della parola, perchè nulla le sarebbe stato inflitto a forza, nulla a cui non avesse in precedenza acconsentito. Avrebbe potuto rifiutarsi, nulla la teneva in schiavitù, fuorchè il suo amore e la sua stessa schiavitù. Che cosa le impediva di andarsene?”

Già!Tu, che leggi, lo sai cosa mi impedisce di andarmene?

Io lo so, sì … cammino sempre insieme alla mia volontà. 

Per qualunque  altra cosa, ricorda, la formula è sempre la stessa  ” In caso di smarrimento riportare al legittimo proprietario!” 

Registration Number (SLRN):717-530-644

Grazie, Padrone.


Il privilegio di trovarsi dappertutto a casa propria appartiene solo ai re, alle puttane e ai ladri.

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E’ una stanza enorme ed allo stesso tempo minuscola quella che ci circonda, siamo noi a crearla con  il legame che ci unisce.

Una stanza che si nasconde agli occhi dei più, timida e im-pudica come la sottoscritta. Immersa in un pallido sole dicembrino, meno fredda di come me la sarei aspettata, non ha pareti, tanto meno soffitti, ma i suoi mattoni sono costruiti dalla passione che arde nelle pupille scure che si scrutano. E dalla loro fantasia.

Siamo fortunati, in ogni senso.

Le sue parole me lo ricordano, stretta in un abbraccio al sapore di costrizione.

Amo sentirlo attorno a me, mani serrate dietro alla schiena, mi fanno sentire al sicuro nelle braccia di chi ha tutti gli strumenti per demolire ogni mia certezza.

Trattengo il respiro, sulle labbra il sapore del caffè, ci sono troppe cose che vorrei dire, troppo poco il tempo per dar fiato ad ognuna di esse. Sento la necessità di godermi ogni istante, di respirare a pieni polmoni il dono dell’appartenenza.

Le dita che premono sui miei vestiti ad intensità variabile bussano alla porta della mia schiavitù che si spalanca senza remore accogliendo in me un momento a lungo atteso e finalmente premiato. Sembra passata un’eternità.

Ringrazio. Per ogni cosa. Solo oggi, scrivendo, mi accorgo di quante volte ho detto: Grazie, Padrone.

Sorrido di me stessa.

Ci sono stati giorni in cui il bisogno di un contatto è stato così forte che il respiro si smorzava fino a rimanere flebile, rivederlo  è stato come percepire i polmoni nuovamente pieni.

Fremo ripensando a come il suo sguardo mi ha sorvolato dalla testa ai piedi appena ci siamo incontrati, mi sono sentita soppesata, un esame  a pieno titolo. Una sensazione piacevole che premia la cura con cui mi sono preparata per Lui. Sono pignola fino all’inverosimile, lo so, non avrei mai tralasciato nulla per compiacerlo.

Esame superato a sentir il suo commento. Gongolo.

Oltre ad i suoi, tutte le persone attorno sembravano avere gli occhi puntati su di me, sono convinta di soffrire  un po’ di suggestione. Odio questa sensazione e la amo al tempo stesso. Un terreno nuovo che ho iniziato ad esplorare solo con Lui, su cui muovermi è abbastanza arduo ma che è altrettanto facile da dimenticare perdendomi in chi ho di fronte. Con il tempo non leggevo più la carta dei thè, ma solo due promesse da riscattare, una punizione da scontare e due caffè : “un dec e un normale”. Come poter badare ad altro se non a questo?

E’ fantastico ritrovarsi; sembra che sia ieri l’ultima volta che ci siamo visti, sembra che domani ci vederemo ancora. Il tempo trova nuovi spazi nella nostra dimensione. Assume valori prossimi al paradosso. 

Quando le mani, le sue, hanno chiesto di stringere collare e guinzaglio ho temuto per un attimo che me lo volesse mettere in mezzo a tutte quelle persone. Le mie mani si sono ghiacciate in un istante, mentre le sue dita accarezzavano il cuoio nero. Credo di essere stata in apnea  fino a che non mi ha chiesto di rimetterlo nella borsa considerando quanto fosse bello. Non so esattamente cosa mi turbasse, ma sono conscia di aver sempre vissuto la dominazione come qualcosa di intimo. Avere spettatori seppur inconsapevoli mi lascia decisamente inquieta.

Essere guidata in posti tanto familiari per una passeggiata ha reso nuovamente un colore “normale” alle mie guance, l’aria fresca  e la mano che stringeva la mia hanno rinnovato la tranquillità del mio cuore.

E’  sorprendente la leggerezza con cui passiamo da uno stato all’altro. Padrone e schiava, Lui ed io. Solo soluzioni di continuità. E’ qualcosa di magico. 

Ci fermiamo appena prima di raggiungere il “nostro” tavolo sempre nello stesso giardino. Ci siamo affezionati. Un momento a cui non do peso a sufficenza in tacita contemplazione di un bellissimo salice. Chiede conferma, annuisco sfoggiando una cultura botanica mica da ridere. Beata incoscenza, la mia. Ha lo sguardo di chi è sempre in procinto di dirmi qualcosa, seduti uno di fronte all’altra, anche quando non parla. Io so che se fosse in mano mia, la scelta, sarei già nuda davanti Lui  dicendo: fai di me ciò che vuoi. A pensarci bene forse lo sono stata anche se non esattamente come stavo immaginando.

Mi sembrava di scoppiare mentre lui mi faceva fremere. Ha scoperto il modo di farmi il solletico e che si diverta a stuzzicarmi è lapalissiano. Un predatore che gioca con la sua preda.

In compenso però le promesse sono state mantenute e di questo gliene sono davvero grata. Ho aspettato tanto e ne è valsa la pena. Anche se gli ho fatto saltare un bottone dei pantaloni, che vergogna!

Il mio essere femmina ha esultato in maniera tracotante. In  ogni rapporto che ho avuto, non mi era mai capitato di dover attendere così tanto. Devo ammettere che è singolare come situazione. Più di nove mesi. E finalmente i miei occhi hanno visto e le mie mani hanno potuto toccare.

E’ stato come liquefare tutti i ghiacciai del mondo con la mia adrenalina. Ho dovuto tenere a bada l’irruenza  seppur tenera del mio desiderio. Strumento del suo piacere in un perverso pomeriggio di tardo autunno. Ho sentito tutta la voglia scalpitare nei  tendini delle mie dita tremolanti. Il calore del contatto della pelle sulla pelle. L’effetto che tutta la gamma di emozioni che mi si leggevano in faccia avevano su di Lui. Pazzesco.  Mi sono sentita immensa nelle sue mani.

Il tempo evapora quando siamo insieme, io non so come faccia. Ma è sempre tutto tremendamente breve. O forse la mia ingordigia mi farebbe chiedere di più, se solo avesse spazio per trovar voce. Così, in un attimo, siamo nuovamente sotto il salice e le sue dita afferrano un ramo lungo sottile ed affusolato. Ero bollente, ed in quel momento anche consapevole che sarei stata punita.

Mi ha chiesto se potevo sopportarne diciotto, non ne ero tanto certa in quel momento, ma in qualunque caso avrei provato ad arrivarci. E così ho fatto.

Della mia punizione, impresse a tinte forti, ho delle immagini nitide che credo che non riuscirò mai a dimenticare. Il blu troppo acceso del metallo a cui ero appoggiata, la cura con cui Lui mi ha denudata. Il cuore che mi si è fermato mentre l’aria fredda lambiva la mia pelle bianca nell’attesa del primo colpo.

E poi arriva, il primo, e con esso altri otto. Nove in totale.

Allineati parallelamente sui miei glutei. Con le lacrime agli occhi, ringrazio anche questa volta. Si ferma qui.

Il dolore di quel rametto flessibile è un marchio a fuoco. Milioni di aghi che trafiggono la pelle. No, non sono masochista questo è certo. Ma incasso bene, e avrei preso anche tutti gli altri multipli, se lui avesse voluto. Sentire in me la disponibilità nel dargli la possibilità di donarmi del dolore mi ubriaca. Non gli piace farmi male, sembra che abbia sofferto con me; quando ho incrociato il suo sguardo mentre mi rivestivo, l’ho visto turbato. Vorrei che non fosse  stato così. Lo rassicuro e  lui rassicura me. Stavo bene e bruciava come il demonio. 

Ora che quelle nove strisce sono passate dal rosso acceso al viola sto ancora bene. Benissimo. Il cuscino sotto il mio sedere mi ricorda che è il caso che io faccia in modo di non dover a essere punita troppo spesso. Ma sono lieta che a prendersi questa parte di me, sia stato lui.

Un momento che sarà solo nostro, in questa grande casa, un mondo di bellezza nella stanza che ci appartiene.

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Non penso mai al futuro, arriva così presto.

Lo diceva Albert Einstein.
Ma lo sottoscrivo anche io.
Sembra passato un secolo dal mio ultimo scritto. Mi mancava davvero riuscire a fermarmi un momento per scrivere della parte di me che custodisco gelosamente.
La vita a volte tira dei colpi sotto la cintola che nessuno avrebbe mai il coraggio di avallare come per buoni. Di questi colpi ne ho ricevuti a bizzeffe in questo 2013, eppure vado avanti, Nonostante tutto sono ancora qui.
Inginocchiata  dalle difficoltà ma sempre rialzata.
In questi mesi il mio percorso ha dovuto rallentare e assopirsi, non avrei avuto l’attenzione necessaria per vivere bene ciò che ho la fortuna di avere
La voglia di percorrerlo, però, non si è fermata assolutamente. Anzi, spasimo  oltremodo di poter ricominciare a camminare con Lui.
Mi ha ordinato di immaginare. Prima di ogni altra cosa. Nonostante io abbia accumulato alcune punizioni, le sconterò più avanti. Ora, lui vuole che mi fermi e immagini.
Di fare un salto temporale in avanti non di giorni ma bensì di anni. Gli piace darmi da scrivere, in parte il mio orgoglio si bea del fatto di riuscire a dargli piacere anche con i miei pensieri fermati per lui su questo foglio. In effetti i compiti mi sono sempre piaciuti. Nonostante la loro difficoltà.
Certo che fra tutto ciò che avrebbe potuto chiedere l’immaginare il futuro quando oggigiorno sono abbastanza provata dalla vita infausta ha un chè di sadico. Devo ammetterlo.
Inoltre, questo ordine collide in pieno con   le mie insicurezze;  spesso, infatti, volgo lo sguardo al domani con ansia.
Ecco perchè, ciò che  Lui mi hai chiesto di raccontargli è una prova non solo di immaginazione ma un vero proprio muro, i cui mattoni sono legati assieme dalle mie fragilità.

“Come saremo fra dieci anni?”

Onestamente non lo so. Ma voglio provare ad arrampicarmici su questo muro e dare una sbirciatina a uno dei tanti possibili domani.

E’ faticoso, ma Lui già sapeva che lo sarebbe stato.

In questo momento sto sudando tutte le mie camicie emotive.

Chiudo gli occhi per un momento e lascio volare i miei desideri.
Sai mi immagino un Ottobre come quello prossimo venturo, con l’aria carica di umidità e i colori caldi che ci avvolgono. Chissà se ti ho mai detto che l’autunno è la mia stagione preferita. Mi immagino una sera, un invito per una cena. Sai la quotidianità è un fardello pesante da portare, quasi sempre, ma come è sempre successo necessito di ritagliarmi un’isola felice dove tutto e tutti sono tagliati fuori. Lavoro, casa, impegni. Anche il tempo non esiste più, quando sono con Te.

E’ un legame speciale quello che ci unisce più forte di ogni tipo di legame che abbia mai avuto nella mia vita.

Lo chiamano Dominazione, lo chiamano in tanti modi diversi. Per qualcuno ancora oggi è un vincolo che sfiora il patologico. Ma io ne ho bisogno. Come ho bisogno di te.

Sono passati tanti anni ma l’emozione di entrare nella tua sfera, di aprirti ogni mio cancello, permane: come fosse ogni volta la prima volta.

Il nostro viaggio ha macinato chilometri di strada, senza ombra di dubbio tu ed io siamo diversi da come eravamo quando, quel giorno, mi resi conto che ero Tua ancora prima di incrociare il tuo sguardo.

Ebbene questa sera, in questa cena che sto immaginando, io rivivo il mio rito di iniziazione e la mia voglia di essere ancora presa.
Un sospiro e sono proiettata nel futuro.

L’aria fresca mi sfiora il viso, la pelle rabbrividisce ma non può essere per il freddo che ancora non si presenta così inclemente.

I segni del tempo cominciano ad apparire sul mio corpo, i capelli lunghi e scuri ricadono sul bavero del trench.

Mi stringo dentro una sciarpa morbida, un momento di calore, che cela ad occhi indiscreti la striscia di cuoio attorno al collo che mi hai chiesto di indossare nella nostra consueta telefonata durante la pausa pranzo.  E così ho fatto, per te,  prima di incontrarci.
Suono il  campanello: nessuna parola ad accompagnare la porta che si apre davanti a me. Solo il fruscio delle calze mentre con passo sicuro entro nella tana del mio lupo.

Un sorriso, accompagna lo spogliarmi degli abiti formali. Sotto una divisa, il tuo regalo in bella mostra. E’  sempre come tornare a casa dopo una giornata impegnativa. Finalmente inginocchiata, cingente le tue gambe in segno di saluto. Tua, senza veli. Libera nella mia schiavitù.

Siamo una coppia come tutte le altre… e come mai nessuna.

Io e te. Senza tempo. Familiari come il suono del moschetto che scatta attorno all’anello del collare. Sempre lo stesso. Sempre il nostro.

Conosco i tuoi respiri. Conosco il tuo corpo almeno quanto tu conosci il mio. Ma ciò che non conosco è quello che tu hai ideato per noi in questa notte. E’ sempre stato così. Mai ho voluto sapere cosa architettavi e tu mai l’hai voluto dire. Amo visceralmente essere sorpresa.

Mi privi della capacità di vedere, ma non di sentirti in ogni sfumatura. Le mani bloccate nelle polsiere e aggangiate all’anello di bronzo che tutti coloro che entrano in casa tua lodano. Ti ricordi? Adorabile batacchio trovato in quel mercatino durante quel viaggio, sono certa che non l’hai dimenticato come così come il brillare del mio sguardo nel proporti di metterlo in sala.

Le tue mani, la tua bocca e il tuo bisogno di prenderti tutto ciò che già ti appartiene. Rinnovo i miei voti alla tua dominazione.  E’ una fame che non viene mai saziata, lo era allora così come lo è ora. La tua forza mi avvolge e coinvolge. La tua saliva che cola sulle mie labbra. Sublime marchio della mia appartenenza. Volge al rosso scarlatto il mio corpo sotto la tua presa. Le tue dita intrecciate ai miei capelli.

E poi finalmente la tua voce, imperativa. Ordini ed io eseguo,  chiedi e io rispondo. Affondo a piene mani nella mia vergogna. Demolita in ogni mio orgoglio mi ritrovo ansante e supplichevole di poter guardare il tuo volto.

No, non me ne andrò. Stanne certo rimarrò da te questa notte, non so come ho fatto ma è possibile.

Sono tua. Lo sarò da 10 anni, ormai.

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Domerai la “tua” fierezza.

Ci sono punizioni che si mimetizzano, addirittura che possono piacere.

Preventivate e ricordate a tempo debito. 

Così è iniziato il mio pomeriggio.

Con questo memorandum davanti a due caffè e una nottata orribile sulle spalle, ma felice di non aver chiesto di rimandare.

Mi perdo in chiacchiere leggere, come al mio solito, mi piace trovare l’intimità anche nel dialogo, amo interessarmi di ciò che accade nella sua vita.

La richiesta di mostrare collare e guinzaglio sul tavolino del bar giunge come un pugno alla bocca dello stomaco che spezza il fiato e la mia logorrea. Non ho mai fatto mistero della mia timidezza, non ho mai nascosto che  il “pubblico” mi mette a disagio. Profondamente.

Inspiro ed espiro lentamente cercando di non cedere all’iperventilazione, tentenno e ne sono consapevole, continuo a respirare inondando d’ossigeno il cervello disperatamente alla ricerca del coraggio per togliere quanto richiestomi dalla borsa.

Impreco senza emettere suono piegandomi sulla borsa e poi  in un sol gesto poso quelle due strisce di pelle sul tavolo.

E’ un gesto che non compivo da tempo. Tanto tempo. Troppo?

Un rito che ha in sè un valore estremo, almeno per me.

Trovo difficile articolare una frase di senso compiuto. Continuo a guardarmi attorno. Il cuoio rigido, largo un dito, è nuovo. Me lo fa notare.

Non avrei mai  usato ciò che custodisco gelosamente nel cassetto della mia scrivania. Avrei rubato a tutti, compresa me stessa.

“Questa è la mia punizione? “- domando- “E’ solo l’inizio, mia cara, vedrai che ti piacerà,  ne sono certo” – risponde-

Come è possibile che mi piaccia una punizione? Conosco già la risposta ma voglio sapere cosa passa nella sua testa.

Mi spiega che ci sono due tipi di punizioni: qualcosa che si vuole ottenere indipendentemente se la persona che le subisce gradisca o meno e la seconda dove l’imposizione coincide anche con la piacevolezza. Era ciò che pensavo.

La mia punizione in questo caso rientra nella seconda opzione.

Da sempre combatto con il mio orgoglio, credo che sia il mio peggior nemico nel mio percorso da sottomessa.

E’ ciò che mi frena e al tempo stesso lancia la mia lingua in battute sarcastiche quando la tensione cresce troppo in fretta.

Sdrammatizzo ma non mi da tregua, affronta con caparbietà ogni mio attimo di insicurezza. Gliene sono grata.

Dannato orgoglio che mi fa mordere la lingua nell’attimo in cui mi sento umiliata, che ricaccia le lacrime quando il cuore diviene pesante.

Orgoglio spinto all’estremo per non sembrare debole.

Posso soccombervi, rovinando il momento, o posso affrontarlo.

So che non è solo merito mio, ma, in questa occasione l’ho sconfitto e ho abbracciato la fierezza.

Sottile ma lampante differenza.

Ho compreso, per qualche attimo, di possedere  la consapevolezza del mio ideale.  So chi sono e mi sono fedele. Il terreno incerto sul quale  sto camminando non va contro ai miei valori. Io sono fiera di chi sono e di ciò che compio. Ogni mattina posso guardarmi negli occhi e sorridermi. Sorrido anche ora. Colui che mi vede davvero vi ritrova uno sguardo limpido,anche nel momento in cui, per timidezza o per pudore, istintivamente esso si abbassa, procedo a  testa alta.

Indossalo. 

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( Ho scoperto questo tumblr di un artista americano che mi ha colpito particolarmente http://lightworship.tumblr.com/)

Non verrei mai a meno di ciò che considero essenziale. Non mi snaturerei per accontentare con bugie o mezze verità colui che è la mia stella polare. Istintivamente e poi

consapevolmente annuisco alla richiesta imperativa.

Lo indosso con la stessa fierezza, sottolinea, che aveva Socrate davanti ai giudici.

E’ stato semplice? direi proprio di no,le mie mani tremolanti e i gesti confusi tradiscono le mie paure. Avrei preferito che me lo mettesse lui, ma la situazione di certo non lo consentiva.

Le persone attorno a noi non guardano e non si rendono conto che ciò che indosso è simbolo della mia resa. Non sanno e non curiosano. Io so quanto basta e la mia mente elabora il resto.

Trascorrono i minuti, in un tempo dilatato. Una bolla d’ovatta mi circonda quando la concentrazione si focalizza solo su questo tavolino e dai suoi occupanti. Abbandonata nelle sue mani e alla sua volontà.

Tutto ciò che ne consegue è un altalena emotiva, picchi d’intensità inauditi che colano fra le mie gambe come un fiume in piena. Sono i residui del mio orgoglio che scivolano soppiantati dalla mia fiera sottomissione.

Ha potuto vedere in me la donna deliziosa  che  serba  nella sua carne un languore mesto e struggente. Quella sottile striscia di pelle che adorna la  malizia lampante sul mio viso.Mi ha trafitta con un dardo caustico che scava dentro. Ad ogni frase che risuona nelle tempie come spillo mi ritrovo spogliata di ogni armatura. Senza pietà mostrata al mondo inconsapevole. Travolta dall’onda impietosa della tensione. Nutro con la mia carne il suo ego.

La punizione di oggi mi vede come  fiera domata a carezzare nuovi cieli. Abbandonata al giudizio del resto del mondo, solo in apparenza. Traboccante di lacrime nettarine.

Una bocca che supplica di essere riempita.

“Domerò la tua fierezza

ch’il mio trono aborre e sprezza,

e umiliata ti vedrò.

Tu qual Icaro ribelle

sormontar brami le stelle,

ma quell’ali io ti tarperò.”